Pubblicato il 27/10/2012 10:04:11
LA PIOGGIA SUL CAPPELLO (Parodia di Gabriele D’Annunzio)
Silenzio. Il cielo è diventato una nube, vedo oscurarsi le tube non vedo l’ombrello, ma odo sul mio cappello di paglia, da venti dracne e cinquanta la gocciola che si schianta, come una bolla, tra il nastro e la colla. Per Giove, piove sicuramente, piove sulle matrone vestite di niente, piove sui bambini recalcitranti, piove sui mezzi guanti turchini, piove sulle giunoni, sulle veneri a passeggio, piove sopra i catoni, e, quello ch’è peggio, piove sul tuo cappello leggiadro, che ieri ho pagato, che oggi si guasta; piove, governo ladro! ....
L’odi tu? Non è di passaggio come l’acqua di maggio, che sciacqua la terra e la monda. Sgronda terribilmente; si sente il blasfemo di un polifèmo ambulante, si veggono ninfe e atalante fuggire in un angiporto; Plutone più vivo che morto si pone una nivea pezzuola sul feltro che cola; Diana s’accorcia la tunica fin quasi all’altezza del femore, e Dedalo immemore a Marte con toga a due petti e speroni s’impalano ai muri con arte per evitare i doccioni. Cibele fa segno all’auriga che incurva il soffietto alla biga, e monta sul cocchio mentre la furia di Eolo le palpa il malleolo le morde il polpaccio, si sfibia d’intorno allo stinco e alla tibia. Bagnati dal coccige al collo, dal naso al tallone d’Achille, fradici fino al midollo, cugini alle anguille, nubili d’ombrello, col solo cappello, sentiamo che l’essere anfibi sarebbe un superbo destino, te biscia, io girino, e liscia la piova del giorno ci colerebbe d’attorno, non come Issïone che fece la ruota a Giunone, ma pari al Tritone cui Teti concesse - regalo di nume - di potersi fare un ampio palamidone di schiume di mare. E piove sempre, sul càmice mio, sul peplo tuo colore oramai dell’oblio, piove sul croceo e l’eburno del tuo moccichino di seta, piove sul cromo del mio coturno che s’impatacca di creta, piove sopra il cinabro che t’impomidaura il labro, piove sui tremoli tocchi che t’anneriscono gli occhi, e andiamo d’androne in androne, con facce da mascherone, squadrandoci obliquamente se qualche pozza lucente ci specchia e ci invecchia per farci morir di furore, Narcisi dai visi colore di colla di paglia, di succo di nastro, d’impiastro di minio, di guazzo assassino di cipria e di carboncino. E piove a dirotto da tutte le nubi, piove dai tubi sfasciati dell’acquedotto del cielo, piove sui cani spelati, piove sul melo e sul tiglio, piove sul padre e sul figlio, piove sui putti lattanti sui sandali rutilanti, su Pègaso bolso, su orïolo da polso, piove sul tuo vestitino, che m’è costato un tesauro, piove sulla salvia e sul lauro sull’erbetta e sul rosmarino, piove sulle vergini schive, piove su Pàsife e Bacco, piove persin sulle pive nel sacco. E piove sopra tutto sul tuo cappello distrutto mutato in setaccio, che ieri ho pagato che adesso è unos traccio, o Ermïone che scordi a casa l’ombrello nei giorni di mezza stagione.
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