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l’ultima primavera (cap. secondo)

di Pasqualina Monaco
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Pubblicato il 29/07/2008 22:52:22

CAPITOLO SECONDO

“Lo sai che mi manchi? Che ogni volta che vengo qui, su questa spiaggia, vorrei vederti emergere tra le onde, come quando eri appena una ragazzina e ti piaceva immergerti per troppo tempo, finchè esausta, tirando fuori la testa dall’acqua dovevo aiutarti mentre riprendevi fiato? Che sciocco che sono! Lo sò che non torni, eppure quando le onde si avvicinano, prima che si trasformino in schiuma e tornino in dietro, per un istante il cuore si ferma, gli occhi si chiudono e con le orecchie cerco di sentire i tuoi passi mentre mi vieni incontro. Tu sei sempre qui, lo sento, è per questo che quando le mura di casa diventano asfissianti io torno su questo nostro angolo di paradiso, tra la sabbia, i sassi, i cespugli che ci hanno visti uniti più che mai e che adesso mi accolgono, solo, per cullare i miei pensieri e curare il mio dolore”.

Quando dissero alle rispettive famiglie che presto avrebbero avuto un figlio, la gioia di tanto amore li avvolse, si sentivano come protetti e le paure e i timori che, intanto, nascevano e si alimentavano nei loro cuori, sembravano anestetizzati dall’entusiasmo collettivo che si era generato intorno a loro.
La prima ecografia fu magica. Lucia disse che non se la sentiva di farsi visitare da un uomo, si sarebbe sentita più a suo agio con Natascia, la sua amica delle medie che si era da poco specializzata in ginecologia, ma di cui, nonostante la giovane età, sentiva di potersi fidare. Fu così che, dopo poche settimane, circa otto da quando aveva fatto il test a casa, Lucia aveva il suo primo appuntamento ufficiale con suo figlio, un classico appuntamento al buio, con uno sconosciuto dal quale, però si sa già che non si rimarrà deluse.
Vincenzo si era preso un giorno libero dal lavoro, era teso, emozionato, preoccupato per la paura che qualcosa potesse andare storto; lui che solo qualche giorno prima era stato vittima della paura cronica di dover crescere, che come Peter Pan voleva fuggire sull’isola che non c’è, proprio lui sarebbe diventato padre; proprio non ci si vedeva ma, nello stesso tempo era curioso, elettrizzato.
Lucia era molto più serena. Sembrava che certe paure non la sfiorassero, già si sentiva più adulta, più matura, come se già qualcosa della sua vita di tutti i giorni fosse cambiata, come se quel bambino albergasse, non solo tra i suoi pensieri, già anche tra le sue cose, nei suoi spazi. No, non aveva paure di niente, o forse di tutto. Chi può saperlo veramente quello che succede dentro una donna? E non solamente a livello organico o ormonale; le donne hanno un posto segreto del loro cuore che non viene spesso abitato, neanche da loro stesse, ma che custodisce tutti i loro segreti, i loro pensieri, le loro paure; è quella la parte nascosta che si desta quando un evento nuovo e magico come una gravidanza si verifica. Lucia si sentiva forte come non mai.
Le visite dal medico non le erano mai piaciute, da bambina, ad esempio, aveva escogitato uno stratagemma che impediva a chiunque di poterla visitare; il trucchetto consisteva in una apnea forzata al limite della resistenza finchè non riusciva a provocarsi lo svenimento. Agnese, sua madre, era così turbata da queste reazioni che la bambina aveva di fronte al pediatra che l’aveva voluta portare da un neurologo convinta che la sua figlia fosse affetta da qualche rara malattia. “Furbizia cronica”, fu la diagnosi; il termine tecnico, in realtà era spasmo affettivo, ma, dietro questo parolone altisonante si nascondeva una forma di ricatto che Lucia, ma come lei tanti altri bambini, metteva in atto nei confronti della mamma per ottenere un risultato che, altrimenti, non avrebbe potuto raggiungere.
Era testarda Lucia, ostinata a tal punto che volle essere più forte di se stessa. Il giorno dopo aver fatto il test di gravidanza a casa, si recò in un laboratorio di analisi per verificare, con un prelievo di sangue, di essere veramente incinta. Anna, che lavorava in quel laboratorio, e che conosceva bene Lucia, non si mostrò molto serena nel farle il prelievo, temeva che la sua amica le sarebbe sventuta tra le braccia, ma non riuscì a dissuaderla. Ferma, concentrata, imperturbabile, Lucia le porse il braccio, guardò con aria di sfida l’ago della siringa mentre il metallo violava la sua carne, lo sentì mentre, con decisione perforò la sua vena e, mentre osservava il suo sangue uscire, si sentì forte, più forte della sua paura. Poi fu un attimo: Anna estrasse l’ago, si voltò per versare il sangue nelle provette “il beta è pronto nel pomeriggio, ti telefono io” disse voltandosi verso l’amica e, con grande stupore la trovò completamente distesa sul lettino, con gli occhi chiusi, svenuta per la grande scrica di adrenalina. Lucia si riebbe subito, d’altro canto era ancora digiuna, ma bastò un buon cappuccino e un goloso cornetto alla crema per farle riprndere un colorito decente. Non avrebbero raccontato a nessuno quell’esperienza.
“Il tuo beta è alle stelle, sei incintissima”, le disse Anna al telefono,”sono felice per te, auguri!” Poi, con gli esami fatti, si era sentita pronta ad affrontare anche la prima ecografia e Natascia, per la sua calma e la sua estrema pazienza sarebbe stata la persona giusta. L’appuntamento era per le sedici, Lucia era di fronte allo studio medico con trenta minuti di anticipo, camminava avanti e indietro, mordicchiandosi le unghie delle mani, Vincenzo la osservava a pochi metri di distanza, se avesse provato ad avvicinarsi lei sarebbe andata su tutte le furie, non amava che qualcuno la credesse non capace di affrontare i momenti seri della vita. Vincenzo si limitava a fissarla, nel suo solito silenzio, contemplando allo stesso tempo, la dolcezza e l’armonia della sua donna, ma anche le sue eterne contraddizioni, che la rendevano ancora più magica ai suoi occhi.
Il lettino del ginecologo è il posto più scomodo su cui sedersi, forse è stato progettato insieme alle macchine per le torture, con quei due braccetti di acciaio che ti costringono ad una posizione quantomai imbarazzante:”per i figli si fà questo ed altro” sussurrava Lucia mentre si sottoponeva alla visita, ma non ci credeva molto neppure lei in quello che diceva. Per fortuna fu tutto molto breve e delicato; dopo il primo controllo, dunque, Natascia accese l’ecografo, voltò lo schermo verso Lucia e Vincenzo, che intanto aveva trovato il coraggio di avvicinarsi alla moglie, e disse loro:”Adesso faremo la conoscenza di vostro figlio”.
Il gel sulla pancia era freddissimo, Lucia ebbe un brivido per tutto il corpo; Natascia, con la sua solita delicatezza le posò quello strano oggetto sulla pancia e fece una lieve pressione. La sensazione non fu piacevole nell’immediato; la mano del medico scorreva in avanti e in dietro alla ricerca di qualcosa, poi “ah! Eccoti qui!”, la voce di Natascia squillò decisa nella stanza in cui, in realtà stava regnando un concentrato di silenzio e ansia; Vincenzo e Lucia si guardarono in torno, un po’ sconcertati, poi si misero a fissare sullo schermo del computer quella confusa macchia grigia che Natascia stava indicando loro. “Questo cerchietto che vi sto’ evidenziando si chiama sacchetto vitellino ed è, in pratica, il monolocale che vostro figlio ha preso in affitto per i prossimi nove mesi, qui, lui o lei, potrà crescere e nutrirsi dalla sua mamma attraverso il cordone ombellicale. Allora, che ve ne pare? Che effetto vi fa, siete emozionati?”
Lucia e Vincenzo, in realta’, erano più che altro perplessi, non avevano, poi, capito granchè di tutto quel discorso e non riuscivano a fantasticare poeticamente di fronte alla visione di una macchietta grigia. Natascia capì benissimo quello che i suoi due amici stavano provando senza riuscire ad esprimersi, allora intervenne di nuovo invitandoli ad ascoltare attentamente, poi si voltò verso il suo computer, spinse u pulsante di accensione, ruotò una manopola, come quelle del volume dello stereo e chiese loro “ siete pronti ad emozionarvi?”
Con una lieve pressione sul mouse, ingrandì una sezione di quella macchia grigia, al suo interno si schiarì l’immagine di un punto più scuro che sebrava pulsare ad intermittenza, Natascia cliccò su quel puntino nero ed avvenne la magia: tum, tum, tutum, un ritmo veloce, deciso, incalzante. Non ci fu più bisogno di parole, i due innamorati si fissarono a lungo negli occhi senza riuscire a trattenere le lacrime; avevano appena ascoltato il cuore di una nuova vita battere forte, dentro Lucia, dentro le loro vite.
Quando uscirono dall’ambulatorio il cielo si era già fatto scuro, l’aria era cambiata, faceva più freddo, diverse nuvole a macchie grosse minacciavano un temporale imminente, un vento pungente si stava alzando, spostando polvere e foglie; i due attraversarono a piedi la piazza principale del paese, percorsero in silenzio il lungo viale dei tigli, che in primavera emana il tipico odore pungente dei suoi fiori, ma che, in autunno si trasforma in una immensa distesa di foglie secche. Alcuni bambini correvano davanti a loro, calpestavano le foglie, le raccoglievano a mucchi e se le tiravano addosso, i loro genitori li richiamavano alla compostezza, ma quei monelli non ne volevano sapere di dar retta a quelle raccomandazioni: si sentivano padroni del mondo. Vincezo pensò che avrebbe voluto un maschietto con cui fare giochi simili, ma senza inquietarsi, semplicemente godere del divertimento di suo figlio ed esserne complice; Lucia disse “sarà una bambina, me lo sento”.
Rientrati a casa rimasero a lungo abbracciati, seduti sul divano avvolti in una soffice e calda coperta di lana a fissare le foto dell’ecografia appena fatta, poi fecero l’amore. La notte ebbe per colonna sonora i tuoni di un temporale violentissimo, la pioggia scese giù forte, il vento, filtrando tra le fessure delle finestre, dava voce a fischi e suoni cupi e tetri, una notte inquietante. Lucia, che era solita dormire tutta stesa e rilassata, quella volta si trovò rannicchiata e abbracciata al marito, dolce rifugio di tutte le sue inconfessate paure; si accarezzò la pancia e pensò che di li a poche settimane non avrebbe più potuto accovacciarsi in quel modo perchè il suo pancione non glielo avrebbe permesso.
Quando furono svegli ebbero modo di riflettere che forse tutte le loro ansie, in reltà erano come il temporale, cioè qualcosa che ti turba, può anche durare a lungo, ma ad un certo punto si placa e, la mattina dopo, tutto è di nuovo sereno. Il cielo di novembre era caldo, l’estate di S. Martino avrebbe offerto gli ultimi momenti di tepore prima del lungo inverno; Lucia fece il caffè, come sempre, preparò il latte, la tavola della colazione ma, un attimo prima che la moka eruttasse le prime gocce di caffè, proprio nell’istante del primo sbuffo di profumo, il suo stomaco fù colto da una sensazione di nausea e disgusto, corse in bagno e vi restò chiusa per un bel po’. Quando ebbe finalmente il coraggio di uscire, aprì la porta e si trovò di fronte la sagoma di Vincenzo che ridendo come un matto l’abbracciò e le disse:”sei veramente incinta, fin’ora credevo fosse stata solo una favola!Ti amo”.


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