Pubblicato il 05/01/2013 19:48:45
e ci parlò di dio, delle sue leggende. ma non siamo riusciti ancora a chiudere la bocca al sacrestano? - sacro st'ano-
andammo via, e mangiammo veloci la nostra cena.
nelle bottiglie polacche. nei frammenti di sosta, il mio respiro si muove come quel 464, - è l'ora della resa- è così vecchio? non sapeva, joseph- un passante- il perché della nostra scelta: il vento.
la foschia, la brina, i capelli sparsi di lei. sono anni che vivo in questa strada, fredda come l'alba che un cielo ha trattenuto in gola.
e le tue labbra, asia, infuocate dal mio sesso che continui a guardare, cosa sarà per noi il domani, si chiedono quelli che continuano a passarci accanto, e ridiamo che non sappiamo quel che sarà
per noi l'adesso. mostra il grembo di lato la luna, mentre una rondine sembra essersi stampata sul tuo petto. e sento dietro di noi i gradini stupirsi ancora del tanto silenzio. giorni andati
mai visti, mai salutati.
perché enumerarti i paesi stranieri?
io non ho mai calpestato invano. posso dire di aver visto cieli che prima confondevo con i mari. è all'orizzonte che vedi l'aurora
tirar via le lenzuola, distesa, sulla paglia degli astri, mentre ancora continua a raschiare la sua gola. guardami ora, guardami adesso
ora che la luce, fioca, ha mostrato il mio specchio. e c'è una morsa che non mi blocca ma m'assale, nel bianco vermiglio- sai che noia mortale?
non avevamo da sempre cercato di immergerci nella fiamma più alta?
gli opuscoli li compreremo più avanti, andiamo a visitare la cella dell'ade. i suoi spazi, il suo altare.
io non ho mai pianto. ho succhiato le ossa di tutti i vigneti, e sputato l'avena dai miei occhi rossi
con cui guardo ancora, per fondere il vetro della mia pena. voglio sentirlo
entrarmi dentro il suo fiato. e ci sarà un giorno, forse, in cui più non sento il rimbombo dei miei passi.< come un tonfo che riecheggia al matrimonio in una chiesa.>
solleticatori d'arpa! le mie dita conoscono altra musica, altro tema. non potrei mai vestirla di bianco, quali sono i miei pascoli, quale l'arena? i memorandum, i disertori d'ortega?
voglio vederlo sgorgare di sangue quel giorno. voglio il sudore, l'ardore di un'impresa. d'inverno la quercia stende bene i suoi rami.
io, che dipinsi di nero il mio mondo, fino a che non finii i pennelli. poi andai a sparare a flegonte, un colpo solo, alla testa,
e vidi gli altri stalloni , ubriachi d'ambrosia venirmi a sbarrare la strada di fronte.ma le mie scarpe come marca hanno il cielo, che avrebbero mai potuto fare,
se non disperarsi e sgroppare e poi brucare nei pascoli del vento?
ed ora sono qui, con joseph e qualche smargiasso di strada. di fuori piove, ma fa nulla, ché spero ancora di vedere la madonna
venirmi incontro con la sua sottana color brace. pelle scura, capezzoli rosa, la sintesi unificativa- unitiva ai lati della fica- che solo può portarmi lontano,
e allora soltanto ti chiederei, asia, di concederti a me come sposa. e poi
di nuovo via, lontano, di buona lena, continueremo a parlare di dio, e a ricordarci che il vero amore mai la conoscerà, un'ultima cena.
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