Faccio visita a mia madre.
Ha l’Alzheimer.
Siede sul divano
nel salone dove
tornato mogano
dopo il restauro
irradia fiero a sfida
il suo silenzio
uno Schmidt & Dauber
del ’23.
I tasti ormai sono denti
che ballano negli alveoli
di una bocca che non riuscì
a trovare la sua melodia.
Prendo posto
accanto alla donna
cui devo l’enigma
della mia vita.
- Ciao mamma, mi riconosci? Chi sono io?
Esita; sorride indifesa e interrogativa
come per chiedere di non essere presa in giro.
Poi risponde decisa.
- Tu sei Domenico, sì Domenico, il figlio di Rachele.
- No mamma, non sono Domenico, sono il tuo primogenito, sono un altro, chi
sono io?
- Sì, tu sei un altro, un altro!
- Volevo dire che sono un altro, cioè un’altra persona, con un suo nome. Qual è il
mio nome?
- Perché ti prendi gioco di me? Il tuo nome è Paolo, il fratello di mio marito.
- No mamma, io non sono Paolo, il fratello di tuo marito, mi chiamo diversamente.
- Allora ti chiami “diversamente”, è un bel nome “diversamente”.
Andiamo avanti così per un bel pezzo
e mi affibbia altri venti, trenta nomi,
tutti punti brillanti, mi accorgo, della
memoria rimescolata del suo passato.
Ma quando non ne posso più e comincio
a pensare di andarmene, dopo aver guardato
fisso davanti a sé per qualche secondo,
punta intensamente gli occhi nei miei
con una serietà che inquieta e con una
voce metallica che fa un po’ paura mi dice:
- Tu sei Pietro.
- Sì mamma, sono Pietro ma Pietro chi?
- Io ho molto sofferto per te ma adesso viene la fine.
- Quale fine?
- La fine di tutto.
Poi torna a fissare con gli occhi
socchiusi il vuoto davanti a sé.
Dopo tanti anni, la vecchiaia, la malattia,
chi può dirlo?, l’elenco infinito dei nomi
del suo passato e poi, alla fine di tutto, il mio,
la mia vecchia madre svanita ha trovato, mi illudo,
il modo per dirmi che sono stato tutta la sua vita.
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