Pubblicato il 06/01/2017 20:18:54
"Non ho mai apprezzato un realismo troppo netto nella poesia, piuttosto l'ho sempre considerato una componente all'interno di quadri linguistici, espressivi ed estetici più ampi, sfumati, ermetici e simbolici. Ho sempre creduto che sia la parola a creare una realtà e non viceversa, e che questo sia il binario luminoso della vera arte poetica. Ne sono ancora convinto, tuttavia esistono dei casi dove il realismo, vestiti i panni di una genuina primitività, diviene materia poetica di inestimabile forza, giustificazione essa stessa di un'esibizione di verità necessaria, essenziale. Se il neopopularismo lorchiano assumeva connotati realistici, popolari, storici e folcloristici, esso rimaneva ad ogni modo costantemente permeato da un ancestrale e misterioso surrealismo, che contraddistingue il fascino del poeta spagnolo. Questo genere di componimenti si legano con il canto, le filastrocche, le tradizioni, la favola. Nicolas Guillen porta nella poesia negrista cubana questi insegnamenti, ma sprigiona in essi un realismo profondo, nudo, solitario, non condito da nulla se non dalla veridicità del lessico, la parlata popolare cubana, che quindi da linguaggio orale diviene lingua scritta, e poetica. Sono i neri oppressi a cantare; le parole con le loro consonanti atte a ricreare il ritmo dei tamburi, percuotono incessantemente, e la storia emerge come una sinfonia tribale dalle spaccature di una civiltà bianca malata. Credo che tutto questo non sia solo una valida giustificazione per amare il realismo di Guillen, il poeta mulatto, ma anche motivo di scoperta di una ammirabile vetta raggiunta."
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