Avevamo vent’anni, e fatale fu l’aver scelto lo stesso corso di laurea, Scienze Agrarie, e la stessa Università, Pisa.
Per me non era stato un grosso cambiamento: bene o male a Pisa ci ho sempre vissuto. Tu invece arrivavi da lontano, dal Venezuela, in virtù di quei “posti riservati” a studenti dei cosiddetti paesi in via di sviluppo.
Ci conoscemmo in Aprile, nell’aula di entomologia, tra collezioni di lepidotteri e lezioni sull’apparato boccale del dociostaurus maroccanus o della blatta orientalis.
Non ricordo chi chiese che cosa a chi, ma rimasi colpito da due occhi scurissimi, di taglio quasi orientale, e da una massa di capelli corvini che facevano cornice ad un viso dai lineamenti mediterranei, leggermente abbronzato.
Ti chiamavi Ana, mi dicesti, e la tua famiglia aveva delle aziende agricole in Venezuela; in questo paese si era concentrata un’immigrazione proveniente da ogni parte del mondo, e tu eri per certi versi il prodotto di questo mischiarsi di sangue e di razze. Più ti guardavo, più ti trovavo bella. Non di una bellezza vistosa, ma riposante, rassicurante, e quell’italiano con notevoli inflessioni spagnole era come una dolce musica per le mie orecchie.
Quel giorno, da entomologia, tornammo insieme in facoltà, a piedi, lungo il Viale delle Piagge, che costeggia l’Arno, e che offre piste ciclabili, percorsi verdi, piante e alberi secolari. E molte panchine, per riposarsi e respirare a pieni polmoni; e perché no, stare vicini vicini.
Abitavi con altre tre ragazze, tue conterranee, in un piccolo appartamento “per studenti” in pieno centro storico. Via dei Notari, ricordo benissimo: una di quelle viuzze strette, lastricata in pietra, rigorosamente zona pedonale.
Ma era breve il tragitto per la Piazza dei Miracoli, dove secoli di storia sono racchiusi nel complesso monumentale eretto in marmo bianchissimo, che si staglia sul verde scintillante del prato.
Ti affascinava questa piazza, e come tutti i turisti, tu e le tue compagne facevate foto su foto divertendovi a cercare le pose più bizzarre, quelle nelle quali sembra, per effetto ottico, che la persona stia sostenendo la Torre pendente. Ogni volta mi meravigliavo del tuo meravigliarti: lo so, purtroppo l’abitudine, la routine, ci fa passare accanto a queste meraviglie gettando loro solo uno sguardo distratto… tanto le vediamo ogni giorno!
Ci piaceva trascorrere le serate sulle spallette dell’Arno, vicino al Ponte di Mezzo, o davanti alla Chiesa della Spina, che ricorda, in sedicesimo, il gotico Duomo di Milano. Era bellissimo anche sedersi in Piazza Santa Caterina, dopo una pizza e una passeggiata in Borgo Stretto. Qualche volta, con la mia 126 rossa, facevamo una puntata al mare, a Marina di Pisa, visto che quell’anno il mese di Maggio era stupendo.
Finirono le lezioni. Dovevi tornare a casa tua, ma tanto a Settembre saresti stata di nuovo qui; ti accompagnai all’aeroporto, e ci scambiammo un abbraccio: fu l’ultima volta che ti vidi. Non ho mai saputo il perché, ma nessuna di voi quattro è mai più tornata.
E adesso, se ci penso, lo sai ? Non ti ho mai baciata!
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