(ad Alejandra Pizarnik. A tutte le donne)
Alejandra, com’è stato duro riconoscerci e salvarci.
Con noi ragazze sono stati tutti tosatori e macellai.
Le nostre madri giunsero con forbicine d’acciaio
E ci raschiarono un poco la lingua canterina.
Ma noi la medicammo con qualche goccia di miele.
A primavera piombarono i padri sulle nostre terre
-Barbari e gelosi-, e con vanghe, rastrelli e cesoie,
Recisero i fiori, potarono i rami, estirparono i tuberi buoni.
Ci rifugiammo di corsa nella nostra cantina e là
Bevemmo coppe di vino viola e ci sentimmo immortali.
E le vecchie, tritando il tempo in vecchi mortai,
Ci dissero che la vita somiglia ad un pavido
Coniglio nascosto dentro il cilindro di un Mago.
Ma noi urlammo forte per non sentirle e farci coraggio.
Quando addosso ci crebbero le dolci primizie,
Le presero i ragazzi sotto angusti soffitti.
Tuttavia, di nascosto, in notti senza luna,
Scrivemmo sulla porta i versi di un antico rito.
Pensavano tutti di averci smussate, addolcite,
Appiattite, come ciottoli muti nel farsi della vita.
E invece, che fiamme, che canti covavano
Nei nostri nidi celesti. Quanti no, quanti viaggi diversi!
Ed ora, Alejandra, dobbiamo parlare.
Siamo donne d’amore, Sirene che sanno
Cosa nascondono le viscere verdi del mare.
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