Questo è il sogno che feci verso l’alba,
al termine di una notte senza stelle
e con la luna che altrove si preparava
alle nuove fasi del suo vecchio ciclo.
Ero bambino, due o tre anni, in braccio
a mia madre e sedevamo nella sala d’aspetto
di uno studio medico e c’erano almeno un’altra
ventina di bambini di quell’età, tutti maschi
e ognuno era in braccio a sua madre.
Lo specialista che ci doveva visitare
era anche colui che aveva ingravidato
di noi le nostre madri – eravamo piccoli
ma questa consapevolezza stringeva
i cuori di tutti noi con l’altra: che quel
medico era anche lo stesso che aveva
preso il parto.
La sala d’attesa era in penombra
e tutti tacevano – una ventina di bambini
piccoli che non piangevano. Ma, attraverso
la finestra, dalla strada giungeva come
la recitazione di un rosario in una lingua
che non conoscevamo e così, senza alzarci
per guardare – hanno di queste economie
i sogni – sapevamo che quel mormorio era
prodotto dalle bocche di uomini barbuti che
in fila per tre procedevano lenti
ognuno leggendo da un grosso volume.
Questi vestivano di nero, con cappelli neri
e avevano la coda, una coda nera e pelosa.
Noi bambini sapevamo anche che in qualche
modo quegli uomini avevano a che fare con
lo specialista che ci doveva visitare.
Ma quello che di più mi colpiva nel sogno
era lo sguardo delle madri.
Io non ho studiato ma ricordo che una volta
in un’altra sala d’aspetto tra le riviste
per ingannare l’attesa ce n’era una d’arte
medievale con tante illustrazioni di madonne
con in braccio il figlio e mi sorprese molto
che ognuna di quelle madonne guardasse altrove,
che nessuna posasse lo sguardo sulla sua creatura.
Spesso in televisione danno film in cui
la polizia scientifica con il laser riesce
a individuare la traiettoria dei proiettili;
quel raggio rosso può dirti con precisione
la direzione che un colpo ha seguito.
Dico questo, perché se dagli occhi delle nostre
madri in quella sala fossero partiti raggi,
questi non si sarebbero incontrati.
Però nel sogno sapevamo, voglio dire,
tutti noi bambini sapevamo, che le madri
guardavano tutte nella stessa direzione.
Arrivato il suo turno ogni madre col suo
bambino entrava nello studio e dopo un po’
ne usciva da sola con lo stesso sguardo
di quando era entrata. Sembrava che per
ognuna nulla fosse cambiato.
Quello che feci quando fu il nostro turno
non lo avevo proprio sospettato. Convinsi
mia madre a lasciarmi andare da solo.
Così entrai nello studio quasi completamente
al buio. Dopo un po’ mi abituai a quella
oscurità e cominciai a intravedere una sagoma,
poi la luce cominciò ad aumentare sempre
più velocemente; lo specialista, che era seduto
su una scrivania, con un balzo fu a terra e veniva
verso di me distendendo le braccia ma questo
mostro in camice aveva un solo occhio in mezzo
alla fronte e per giunta senza pupilla…
Mi svegliai urlando. Mi calmai e cercai di riprendermi
del tutto. Albeggiava. Nella stanza accanto, mia madre,
ormai quasi completamente cieca, seguiva il rosario alla radio
e in strada – questa volta dovetti affacciarmi per saperlo –
non c’erano uomini barbuti salmodianti vestiti di nero
che in fila per tre procedevano lenti ognuno leggendo
da un grosso volume, e tutti con una coda nera e pelosa.
Probabilmente erano rimasti nel sogno a vivere di quel sogno.
Dopo un po’ cercai una penna, tolsi dalla parete
l’immagine di una madonna che guardava altrove
con in braccio un bambino con un solo occhio in
mezzo alla fronte e sul retro presi nota di tutto questo.
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