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Il sogno che feci

di Pietro Menditto
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Pubblicato il 21/11/2012 09:16:00

 

Questo è il sogno che feci verso l’alba,

al termine di una notte senza stelle

e con la luna che altrove si preparava

alle nuove fasi del suo vecchio ciclo.

 

Ero bambino, due o tre anni, in braccio

a mia madre e sedevamo nella sala d’aspetto

di uno studio medico e c’erano almeno un’altra

ventina di bambini di quell’età, tutti maschi

e ognuno era in braccio a sua madre.

 

Lo specialista che ci doveva visitare

era anche colui che aveva ingravidato

di noi le nostre madri – eravamo piccoli

ma questa consapevolezza stringeva

i cuori di tutti noi con l’altra: che quel

medico era anche lo stesso che aveva

preso il parto.

 

La sala d’attesa era in penombra

e tutti tacevano – una ventina di bambini

piccoli che non piangevano. Ma, attraverso

la finestra, dalla strada giungeva come

la recitazione di un rosario in una lingua

che non conoscevamo e così, senza alzarci

per guardare – hanno di queste economie

i sogni – sapevamo che quel mormorio era

prodotto dalle bocche di uomini barbuti che

in fila per tre procedevano lenti

ognuno leggendo da un grosso volume.

Questi vestivano di nero, con cappelli neri

e avevano la coda, una coda nera e pelosa.

Noi bambini sapevamo anche che in qualche

modo quegli uomini avevano a che fare con

lo specialista che ci doveva visitare.

 

Ma quello che di più mi colpiva nel sogno

era lo sguardo delle madri.

Io non ho studiato ma ricordo che una volta

in un’altra sala d’aspetto tra le riviste

per ingannare l’attesa ce n’era una d’arte

medievale con tante illustrazioni di madonne

con in braccio il figlio e mi sorprese molto

che ognuna di quelle madonne guardasse altrove,

che nessuna posasse lo sguardo sulla sua creatura.

 

Spesso in televisione danno film in cui

la polizia scientifica con il laser riesce

a individuare la traiettoria dei proiettili;

quel raggio rosso può dirti con precisione

la direzione che un colpo ha seguito.

Dico questo, perché se dagli occhi delle nostre

madri in quella sala fossero partiti raggi,

questi non si sarebbero incontrati.

Però nel sogno sapevamo, voglio dire,

tutti noi bambini sapevamo, che le madri

guardavano tutte nella stessa direzione.

 

Arrivato il suo turno ogni madre col suo

bambino entrava nello studio e dopo un po’

ne usciva da sola con lo stesso sguardo

di quando era entrata. Sembrava che per

ognuna nulla fosse cambiato.

 

Quello che feci quando fu il nostro turno

non lo avevo proprio sospettato. Convinsi

mia madre a lasciarmi andare da solo.

 

Così entrai nello studio quasi completamente

al buio. Dopo un po’ mi abituai a quella

oscurità e cominciai a intravedere una sagoma,

poi la luce cominciò ad aumentare sempre

più velocemente; lo specialista, che era seduto

su una scrivania, con un balzo fu a terra e veniva

verso di me distendendo le braccia ma questo

mostro in camice aveva un solo occhio in mezzo

alla fronte e per giunta senza pupilla…

 

Mi svegliai urlando. Mi calmai e cercai di riprendermi

del tutto. Albeggiava. Nella stanza accanto, mia madre,

ormai quasi completamente cieca, seguiva il rosario alla radio

e in strada – questa volta dovetti affacciarmi per saperlo –

non c’erano uomini barbuti salmodianti vestiti di nero

che in fila per tre procedevano lenti ognuno leggendo

da un grosso volume, e tutti con una coda nera e pelosa.

Probabilmente erano rimasti nel sogno a vivere di quel sogno.

 

Dopo un po’ cercai una penna, tolsi dalla parete

l’immagine di una madonna che guardava altrove

con in braccio un bambino con un solo occhio in

mezzo alla fronte e sul retro presi nota di tutto questo.


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