Pubblicato il 31/07/2012 08:19:54
Lavoro tutto il giorno, a sera sono brillo. Alle quattro sto sveglio nel buio muto, fisso. Gli orli delle tende via via schiariranno. Frattanto vedo quello che in realtà c’è sempre: la morte infaticabile, d’un giorno intero più vicina, che rende ogni pensiero impossibile tranne come dove e quando dovrò morire io stesso. Arido interrogarsi: eppure la paura di morire, d’essere già morto, lampeggia nuovamente, avvince e terrorizza.
La mente sbianca all’abbaglio. Ma non di rimorso – il bene non fatto, l’amore non dato, il tempo strappato e non usato – né disgraziatamente perché una sola vita può spendersi tutta a riscattare i suoi inizi sbagliati, e non riuscirci mai; ma per il vuoto totale ed eterno, la sicura estinzione alla quale andiamo incontro, dove saremo persi per sempre. Non essere qui, né in nessun altro luogo, e presto. Nulla di più terribile, nulla di più vero.
Ecco un modo speciale di prendersi quella paura che nessun trucco scaccia. Provò la religione, quel logoro e vasto broccato musicale creato a farci credere che non morremo mai, tutte quelle sciocchezze del tipo Nessun essere pensante può temere una cosa che non sente, senza accorgersi che è questo a spaventarci: niente vista, niente suono, niente tatto o sapore, né odore, niente con cui pensare, niente da amare e niente a cui legarsi, l’anestesia dalla quale nessuno si risveglia.
Così rimane ai margini della visione, una piccola fioca presenza, un freddo immobile che frena i nostri impulsi fino all’indecisione. Tante cose potrebbero non accadere mai: questa accadrà, e il capirlo deflagra furioso in bruciante paura se ci coglie senza niente da bere o compagnia. Il coraggio non serve: vale a non spaventare altri. L’essere forte non risparmia la tomba a nessuno. La morte non cambia se frigni o se l’affronti.
Lentamente la luce cresce, la stanza prende forma. Certo come un armadio sta quello che sappiamo, che abbiamo sempre saputo, che non si può sfuggire, ma nemmeno accettare. Una parte dovrà cedere. Frattanto i telefoni vegliano, pronti a squillare in uffici ancora chiusi, e l’intero indifferente intricato mondo in affitto comincia a svegliarsi. Il cielo è bianco come calce, senza sole. Il lavoro va fatto. Postini come dottori vanno di casa in casa.
(Traduzione di Francesco Dalessandro, da Collected Poems, Faber and Faber, 1988)
(http://poesiesenzapari.blogspot.it/2011/02/philip-larkin.html)
« indietro |
stampa |
invia ad un amico »
# 1 commenti: Leggi |
Commenta » |
commenta con il testo a fronte »
I testi, le immagini o i video pubblicati in questa pagina, laddove non facciano parte dei contenuti o del layout grafico gestiti direttamente da LaRecherche.it, sono da considerarsi pubblicati direttamente dall'autore Loredana Savelli, dunque senza un filtro diretto della Redazione, che comunque esercita un controllo, ma qualcosa può sfuggire, pertanto, qualora si ravvisassero attribuzioni non corrette di Opere o violazioni del diritto d'autore si invita a contattare direttamente la Redazione a questa e-mail: redazione@larecherche.it, indicando chiaramente la questione e riportando il collegamento a questa medesima pagina. Si ringrazia per la collaborazione.
|