Il cicaleccio su Atlantide dura ancora
e tutte queste porcherie sotto il carro dell’ignoto.
Chi stira così bene i piccioni?
La leggenda si liscia la barba
unta dai nostri polpastrelli
bruciati dallo sfogliare le pagine
della grommosa rivelazione.
Allo scoccare della mezzanotte
ha gonfiato i palloncini delle anime
e non le resta che attendere
l’afflosciamento nelle ventiquattro ore.
Intanto inganna l’attesa leggendo il futuro
nei fondi degli autodafé.
Anche oggi il big bang
avrà le sue proiezioni infinitesimali
negli infiniti orgasmi
silenziati nelle cieche viscere planetarie.
Il vecchio impazzito sulla teologia
grida la sua apostasia
chiamando impronte
quello che altri definisce disegno.
Da qui sopra la città è perfetta
nel suo calcolato disordine;
sabbia un tempo bagnata
colata da una mano accidiosa
a levare un’umida babele
poco lontano da una logorata battigia.
Tutte queste porcherie e solo
per oltraggiare senza saperlo
la consegna del tempo carceriere
che lascia fare
perché sembra
non essere più d’accordo
col datore delle ore.
La donna discinta
che esce sul balcone
all’ultimo piano
apparentemente per stendere panni
ma con la speranza di essere guardata
sta chiedendo dei massimi sistemi
e allo stesso modo
l’allarme che da un’ora
non smette di singhiozzare,
l’abbaiare ininterrotto di un cane
disturbato dal divenire
e quelli che davanti ai bar
fanno la sentinella alla scempiata
inedia dell’ombra loro desertica.
La radio gracchia che Elena
non è stata ancora liberata.
Scoppia di salute la guerra
e pure la lonza della dialettica.
Faville del fuoco su cui siamo seduti
vengono scambiate in cielo
per segni di un’imminente salvezza
e l’ultimo filosofo
(o l’ultimo dei filosofi)
dalla sua macie e senza più naso
appollaiato sulle comode spalle
di Platone e di Tommaso
alla fine di una anoressente scepsi
pontifica che vista dall’alto
non da così vicino
la vicenda del lupo e dell’agnello
è buona anche per l’ovino.
Visto che funziona in quel certo modo
la cosa deve essere necessariamente ben fatta.
Ogni volta che prendiamo una sigaretta
agitiamo un po’ il pacchetto,
contiamo quelle che restano,
per regolarci.
Non possiamo fare lo stesso la mattina
quando ci alziamo
coi giorni, coi giri
che ci restano ancora da percorrere
intorno all’asse del mondo
mai pago, mai in calore,
ebbro di un qualsiasi amore
per spiantarsi dalla sua fossa senza radici
e muovere qualche passo con noi,
per riscaldarci, per fumarne una in compagnia.
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