Pubblicato il 18/06/2012 16:43:03
http://poetarumsilva.wordpress.com/2012/06/18/anna-lamberti-bocconi-poesie-inedite/
1. A ondate, ricordata dalla luce, l’età dell’oro filtra nel presente domenicale, a muovere la vita come frusciando. Fedele, questa torcia remota sempre accesa, che fa il giro del mondo insieme a me fissata con la cera su una spalla, e che non ho mai visto per davvero, se non riflessa nei carboni ardenti e nei lampi degli occhi nella notte e nelle labbra rosse che ho cercato, fedele questa torcia mi sovrasta. Porta l’età dell’oro nella pece che cola lentamente, con tenacia vischiosa, sulla schiena del tedoforo ignaro che ha il mio volto; non ha effetti sui mali della terra, ma lo stesso fa profumo di resina e lambisce vivi, morti e malati come uguali. 2. Chi sente il flusso dei morti, la fiaccola, il volo dello zucchero filato, la lana, i soffioni, i ciuffi bianchi, librati a poca altezza dal suo cuore a roteare in cerchi ripetuti sopra le scaturigini del mare, quelle abissali fenditure fredde da dove sgorga il sale senza fine; chi ha l’aureola dei morti sopra il mare irradia come febbre in nervature di foglie, porta in sé l’ultravioletto, i gesti dell’arare e seminare astratti in invisibili scritture. Chi sia: si allunga verso l’orizzonte con un tributo teso, individuale, dove tracolla il necessario amore. 3. Piangevano vicino alla bocca la salvezza maligna delle origini una signora con la veletta ricordò loro che l’ora scocca ma loro non sentivano erano troppo giovani avvinti in una fretta pietrificata. Nessuno dovrà vedere gli amanti affinché non diventi sciocca la loro distruzione del cuore soltanto dall’uno all’altro placando l’aspra sete tubercolare gli amanti assoluti, solo impastati come farina ed acqua diranno delle parole insensate se non in gola nel gioco del ruggito, del miagolio il tributo infinito al dio dell’oblio mentre il gatto ammaestrato sbanca con numeri da circo spettacolari il fratello esiliato pulsa la sciagura si piaga, suppura. Come miele su neve calerà la morfina un tappeto dorato sul bianco d’atomi e lì sotto gli amanti che affondano annegavano senza morire bevendo quei profondi singhiozzi di redenzione e l’amore sognava e svaniva e sanava dimenticando. 4. Guardando le verdure, il loro disfacimento composto di fronte alle procedure, mi chiedo se si può dire di no alla morte: se piano, se più forte, se solo per amore. 5. Ho in me delle culture, pesco a sorte dopo mi taccio, o mi addormento, o crepo. Quanto è grandioso il Novecento o indietro tutti quei libri che mi son bevuta, cose guardate a caso sui giornali ecco Picasso la tauromachia le rupi incise ecco guardare ancora Hemingway cacciatore, e si credeva tanto vitale, il mito dell’eroe il maschio bevitore, vezzeggiato dalle infermiere o solo nella giungla: quanto niente che resta, che frontiere da saltare a piè pari come lepri. I professori di letteratura, o “dell’impotenza”: me lo sai spiegare? Dice (ma chissà chi): “Tolstoj è un gigante”. E no, Tolstoj è normale, dico io. Se fossimo più in gamba scriveremmo cose enormi anche noi, ti metti lì e pensi e scrivi e vivi, hai dei quaderni la penna d’oca forse, sei persona piena di serietà, non hai la tele, non ti diverti a fare le cazzate stai solo con le donne e i contadini. Tolstoj si sdraia sul prato di giugno e sente il sole sopra e fra la terra e il fuoco c’è il suo corpo di gigante. 6. Come il cane che ha strappato il guinzaglio il palloncino che si è strappato dal filo se ne vanno nell’atmosfera corrono via nella dissoluzione irrimediabile e il bambinetto si è strappato il cuore suonano male anche nei versi queste cose non sono musicali da scrivere o dire accadono per il male ed è incredibile l’attimo, solo un attimo, e il prato è verde uguale, il cielo è dipinto uguale eppure la morte ha morsicato e quello avrà sì e no cinque anni e non guarirà mai più ha i pantaloni corti, è per mano a suo padre, è una bambina, piange all’asilo, è molto bella, è orfano, è musone, si picchia con tutti, sono gli anni Sessanta, gli anni Settanta, gli anni Ottanta si srotolano in eterno le fratellanze invisibili stagliate nella pietra degli incidenti da niente ti ricomprano il palloncino, riprendono il cane tutto va a posto tranne il dolore-terrore il cuore resta crepato non combacia più bene e infine siamo qui grandi, a recitare fra la gente. 7. Sei tutti quei ruscelli quelli dove nascevo che poi li avrei rimpianti e ricercati ce li avevi negli occhi ce li avevi tra i seni che poi tutta la vita li avrei pianti i cieli illuminati i fiori ai camposanti che avrei pensato “Non è mai finita”. 8. STIGMATA Mi sbalordisce il senso della piaga la piega tumefatta della mano che con raggio di luce mi ha falciato il dio, come la morte fa col grano. Ulcera che dissangua, rossa inedia, io non avrei creduto alla tua mira, questo perfetto buco in mezzo al palmo, né avrei creduto a tanto grande amore. Ti prego e mi inginocchio, mio Signore ti mostro i segni aperti, a specchio, guarda! perché tu ti rifletta portentoso nella ferita che hai portato in vita. Scorrerà come fiume tra le dita la linfa di carminio che mi hai dato tutto questo liquore liberato suggellerà in un bacio l’uomo e il dio.
« indietro |
stampa |
invia ad un amico »
# 5 commenti: Leggi |
Commenta » |
commenta con il testo a fronte »
I testi, le immagini o i video pubblicati in questa pagina, laddove non facciano parte dei contenuti o del layout grafico gestiti direttamente da LaRecherche.it, sono da considerarsi pubblicati direttamente dall'autore Teresa Milioto, dunque senza un filtro diretto della Redazione, che comunque esercita un controllo, ma qualcosa può sfuggire, pertanto, qualora si ravvisassero attribuzioni non corrette di Opere o violazioni del diritto d'autore si invita a contattare direttamente la Redazione a questa e-mail: redazione@larecherche.it, indicando chiaramente la questione e riportando il collegamento a questa medesima pagina. Si ringrazia per la collaborazione.
|