SIMONE CONSORTI, TRA PSICO-LINGUISTICA E POESIA
di Adolfo Sergio Omodeo
Dice Rimbaud già nell’ 800: “Perché io è un altro”, e la psicoanalisi Lacaniana nel 900 specifica: “c’è chi parla in noi, riferendosi all’inconscio, ma pure specificando che: “l’inconscio è il discorso dell’Altro”. D’ altro canto la “pragmatica della comunicazione” ha rivelato che su uno stesso flusso di eventi e/o di comunicazioni possono celarsi i più imprevedibili conflitti interiori e\o relazionali a seconda di cosa venga considerato più o meno rilevante nel flusso della comunicazione reciproca, poiché la cosiddetta punteggiatura della comunicazione sottende ipotesi diverse di causa-effetto, e conflitti di ruolo tra parlanti.
Già Palazzeschi aveva rinunciato all’uso della punteggiatura e delle maiuscole, affidando a versi brevi e spezzati il possibile alternarsi di punti di vista diversi.
Freud notava che la poesia può esprimere conflitti profondi dell’animo umano prima che la psicologia li comprenda; d’altra parte dalla nuova psicoanalisi francese viene l’attenzione allo Specchio, come occasione di coscienza e di inconscio: vedersi, guardarsi, identificarsi ma pure considerarsi oggetto di desiderio, narcisista o altrui e a volte di rifiuto.
Tra queste ipotesi psico-dinamiche e psico-linguistiche , volte a spiegare l’ ambiguità inevitabile del linguaggio quotidiano e del linguaggio poetico, si sviluppa la poesia di Simone Consorti, che dopo una tesi di laurea su “il lapsus freudiano in Pirandello”, ha proseguito come scrittore. Grazie alle pubblicazioni on-line de la Recherche ho letto i suoi ultimi testi, con trasporto, e riletto come occorre fare per entrare nei doppi sensi, nelle ambiguità e nei paradossi della vera poesia. Dei suoi scritti, “Mi sono affacciato allo specchio di un altro” è una lunga e sofferta storia d’amore che si conclude con il brano omonimo: vedersi e/o vedere qualcuno sicuro di sé, e sapere tuttavia che dentro di lui stanno sgozzando un maiale. Dove malgrado l'ambiguità del testo, sembra che il poeta si sia specchiato senza riconoscersi, soffrendo tuttavia lo strazio interiore di quello che nel riflesso sembra sicuro di se
Nell’ultimo scritto “Finestra d’ Italia” Consorti guarda invece all’attualità e al sociale, come per esempio alle tragedie dell’immigrazione <<È così lontana l’altra costa/ quando la salvezza/ è in direzione opposta/…./ Non conosceremo la sua faccia/ /…/ noi che lo aspettavamo/ per respingerlo.>> poesia che grazie a un ambiguo gioco di possibili sottintesi e di soggetti diversi, ci porta a identificarci nell’ Altro e poi di nuovo in noi stessi con occhi nuovi e più critici.
Finestre d’ Italia integra poesie e foto (poste dopo le poesie): “Non posso abbracciarmi/ anche se mi voglio bene/ anche se mi odio/ non posso tagliarmi le vene” ci fa riflettere e ci guida a immedesimarci sulla foto di un mendicante con le braccia amputate. Oppure:<< immagino/ pensionato anziano/ e il giovane badante/…/ vedo un vecchio impasticcato/ davanti alla tele/ che urla e non la smette/ e un giovane al PC con le cuffiette>> e la foto mostra un anziano spinto in carrozzina, che ascolta lui stesso le cuffiette…Qui l'immagine è divergente dal testo ma indica comunque una possibilità, una volta rincasati, su cui ci induce a riflettere. Così il gioco tra i messaggi verbali delle poesie e quelli visivi delle foto può portare a concepire altre situazioni umane possibili (d'altronde l’amico fotografo Gianni de Polo mi fa notare che noi siamo portati a concepire noi stessi come ci si vede allo specchio, per es. invertendo destra e sinistra, cosicché le foto hanno un effetto straniante pur mostrandoci meglio come ci vedono gli altri, e ci paiono più belle e veritiere se vengono sviluppate invertendo il negativo).
Consorti torna varie volte sul tema dello specchio e sul tema dei ciechi: << di giorno vanno di notte deserti/…/ ma ho visto ciechi/ che hanno visto ciechi che hanno visto se stessi allo specchio>>; versi dove l’apparente sconnessione logica e sintattica ci guida a immedesimarci nei ciechi, ( direi meglio di Baudelaire che si chiede cosa domandano al Cielo tutti questi ciechi con i loro sguardi persi) e rimanda alla nostra cecità verso noi stessi.
Una nota merita l’uso della metrica, sempre imprevista e delle rime, anch’esse impreviste, confermando una ricerca tra contenuti e forma stilistica che vuole evitare costantemente di essere banale o consolatoria, come purtroppo mi appare gran parte dell’attuale poesia italiana. Grazie allora a Simone Consorti e al sito editoriale de La Recherche che propongono nuove interessanti letture ma anche inducono considerazioni sulle nuove vie della poetica attuale, in cui anche io mi sento coinvolto.
Adolfo Sergio Omodeo
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