Sulla scorta dell’estetica di Pareyson dove persona e autore si conglobano, performandosi, il poeta fondamentalmente è, e agisce nella vita come nella scrittura.
In tal modo si lega il poeta a una concezione ontologica, nonché assiologica.
Vero è che il poeta fa anche poesia, dal momento che nello scrivere lascia segni e opere. Tutto sta, e non è semplice, a vedere quanto la scrittura sia materia o forma.
Secondo il mio modesto parere la scrittura è materia e forma.
Abbiamo così il poeta che ha a che fare con una dimensione ontologica e la poesia a metà strada tra onticità e ontologia.
Bisogna, a tal proposito, riprendere la teoria dell’azione nell’Etica a Nicomaco di Aristotele, dove si fa la distinzione tra ποίησις e πρᾶξις.
L'azione dell'uomo infatti veniva distinta da Aristotele in due forme:
- la poíesis (greco ποίησις), che è l'agire diretto alla produzione di un oggetto che rimane autonomo e estraneo rispetto a chi l'ha prodotto;
- la práxis (greco πρᾶξις), che riguarda un agire che racchiude il proprio fine in se stesso. Agire, pertanto, come pratica, termine equivalente, in questo caso, di morale, che oggi è divenuto un po’ desueto nella nostra cultura dove sarebbe meglio definire pragmatico quello che oggi per lo più viene definito pratico, sulla scorta del pensiero utilitarista nato e cresciuto nell’ambito della filosofia pragmatista e analitica. Fortunatamente, nel Novecento c’è stata una riabilitazione dell’etica aristotelica e del suo finalismo (teleologia). Oggi possiamo rifarci agli studi di Alasdair MacIntyre e di molti altri, ma soprattutto a quelli di Martha Nussbaum, che tra l’altro si è profusa in difesa degli studi umanistici e in particolare della letteratura a fianco della filosofia.
La poesia ha finalità estetica, indubbiamente, ma anche etica e teoretica, se vista dal punto di vista personalistico del poeta come persona assunta sul piano ontologico.
L’Ermeneutica veritativa e l’Estetica e l’Etica di Pareyson, in poche parole il suo Personalismo, mi sembrano buoni strumenti per riprendere a tessere tali questioni.
Alla fine, l'essere poeta non è dunque un mestiere, ma una professione, intesa a la Balzac come una vocazione esercitata attraverso una fede metafisica, e certamente non a scopi utilitaristici.
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