Per molti anni ho trascorso le giornate in compagnia della purezza di Ungaretti, perchè l’incontro con il poeta d’Alessandria d’Egitto fu una folgore che si piantò nel suolo fertile della mia giovinezza quando ancora frequentavo l’Università. Scrivevo ma non pensavo che la poesia potesse essere tanto simile al mio modo di pensarla, e di farla, al modo in cui questa scorreva quando mi fuoriusciva – erano soltanto le prime gocce – dalle vene. In seguito scoprii che non serviva aver acclarato con me stesso di essere un poeta, se non mi era ancora chiaro che guardare la luna dalla terra poteva essere un'esperienza molto affascinante, ma mai quanto camminarvici sopra; e percepito, non solo di poter respirare quell’aria: anche di non riuscire a farne a meno.
Mi preparavo alla follia di Rimbaud, al suo genio ribelle, alla sua ribellione geniale, alla sua ricerca poetica e di un nuovo linguaggio che come Icaro lo portò a salire e salire, proprio verso il Sole, fino a bruciare le ali, rinunciando a fabbricarne di nuove; avrebbe posato ali e penna, usato gli occhi e le gambe, una volta ingurgitato da quel suo stesso linguaggio poetico.
Mi preparavo all’intenso vivere delle notti con Verlaine, figlio dell’assenzio ma con un grande talento, e mi ritrovai a dover confessare il mio amore in particolare per Baudelaire; non perchè amavo meramente il lato oscuro delle cose, ma al contrario per la divina luminosità poetica dei suoi comandamenti, legati a radici profonde, sotto il peso di una terra feconda e solidi rami che giungevano, seguendoli fino in fondo, dritti alla punta del mio naso. Mi preparavo quindi ad acquietarmi fra le ali di Poe, padre di tutti: genio, costruttore, ma con un’anima ed un’aurea ancor più grandi, forse, di quanto lui stesso considerasse; ed ancora a consolarmi tra i versi del principe, oro del mio Regno, Lorca; allo stesso modo mi preparavo alle cime fosche ed imperscrutabili di Mallarmè e Quasimodo, ed all'approdo infine a Huidobro e Diego: maestro e discepolo, fari luminosissimi della mia navigazione.
Così ho conosciuto quella veggenza, che poi si traduce con le parole ‘ricerca in direzione della Luce’ per il poeta, e forse in qualcos’altro – o forse non si traduce – per chi il poeta invece giudica. Avevo già scoperto la possessione, il potere infiammante dell’ispirazione, il caos incontrollabile della Poesia, e compreso che si poteva domare, come un lupo che ti scalda quando hai freddo, ma che rimarrà sempre il primogenito della Natura primordiale e più selvaggia.
Lasciati da parte i versicoli lapidari privi di punteggiatura continuai, quindi, un percorso sempre più a stretto contatto con la poesia pura, l’ermetismo, il simbolismo; già indagatore del sentimento poetico e dell’umana natura, tentai di andare maggiormente a fondo nella ricerca di una poesia che attraverso se stessa fosse in grado di risolvere nuove ed antiche domande non solo riguardo la propria origine ed essenza, ma anche il proprio fine, manifestando durante questo cammino un certo voluto distacco e disinteresse per la contemporaneità poetica.
Non posso nemmeno pensare di aprire gli occhi e scrivere versi senza avere ben chiaro che la realtà che verrà da me dipinta sarà quella del poeta. ‘Vita e la realtà divengon giunte con l’umana porta’, citando l’Ermete di una mia lirica del passato. Simbolismo, antirealismo, ricerca dell’ignoto attraverso le forme, la lingua, propria di quel destino che mi compete. Ma propria anche di un uomo che la realtà osserva, vive, e da essa trae ispirazione; lasciandole alle volte la parola sotto la sembianza di una visibile cornice, o di un loquace dipinto. Nessun disordine dei sensi mel mio caso – tuttavia alle volte il disordine crea ordine nei sensi – ma la poetica indagine di un esclusivo dono. Riguardo al realismo dunque, millantato da alcuni come fondamento obbligatorio della poesia contemporanea (e del suo linguaggio), basterebbe per esempio qualche mia poesia de ‘I Fiori di Ermete’ per infrangerne la corrente; oppure, si badi bene, per confonderla e intorpidirla d’inchiostro. Vivo con la consapevolezza che non sarò mai solo in questa Traversata, ma insieme ai miei poeti. E con te Lettore, con il quale ora mi confido.
‘Fintantochè il fuoco continuerà ad ardere, sento che la mia poesia non smetterà di evolversi’.
M. P.
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