Spesso ricordo amaro gli anni
che si annunciava primavera
in un vento sapido di mute guarigioni.
Le altre stagioni, rivali lamentose
e sconfitte a misurare lo scontento,
matrone immutriate in ceppi,
larve che languivano in prigioni.
Gemello il mio del forte suo trionfo,
fanciullo per quel poco che ne seppi
di un'età che fu breve come un tonfo.
Non udivo voci nell'avara solitudine
ma stilai sul biblico silenzio leggendario
confidente e fiero la colorata moltitudine
delle parole dolci di un mio umile diario.
E tutto io mi diedi a una speranza allora
vestita degli stracci che dei miei odorosi
panni fecero le ruote affilate del destino.
Nulla accadde o il Nulla accadde
e il vento sapido variò supino
nel piombo in cui fusi furono gli anni.
Ma io attendevo, e attendere sapeva
un cuore mio gentile e un po’ romantico,
che l'opera dei danni mutasse infine in luce,
la luce ancora in voce e in cantico
fiorisse poi la Rosa nel mezzo della Croce.
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