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Pausa caffè

di Marco Tealdo
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Pubblicato il 05/12/2007

Trovarsi al punto giusto al momento giusto.
Luciano l’aveva capito bene. Molto bene. Per questo aveva scelto come punto di appostamento la panchina situata proprio accanto alla macchinetta da caffè .

Una macchina da caffè all’ingresso di un grande palazzo moderno, centro amministrativo e finanziario di diverse aziende di spicco sul mercato. Questa l’ancora di salvezza di Luciano.
Una macchina da caffè, dunque. Punto di convergenza di tante storie non raccontate, dove per attimi si incrociano sguardi, lacrime, confidenze e poi scompaiono nell’indifferenza più completa.

Luciano era solo al mondo. Per questo capiva la solitudine. Soprattutto la individuava sulla gente. Bastava uno sguardo, l’inflessione della voce rubata in un dialogo, una lacrima. La solitudine ha un brutto colore quando si annida sul volto delle persone.

Ogni mattina Luciano attendeva l’apertura delle porte del palazzo e andava a sedersi su quella panchina ad attendere i primi consumatori.
Puzzolente e malandato com’era non era stato ben accettata la sua presenza. Con l’andare del tempo, però, Luciano seppe dimostrare di meritarsi quella postazione.

Fin dal primo giorno capì che quella era una vera e propria vocazione per lui. Rimanere fermo ad osservare il passaggio di quei volti stanchi già dal mattino. Osservare quelle storie di gente infelice, di persone tese a produrre, convinte che dall’ affrettarsi del loro passo sarebbe dipeso il tracollo finanziario dell’ azienda. E poi accoglierle, ascoltarle, capirle, farsi compagno i viaggio, amico.

“Fantasie provocate dalla sindrome dell’indispensabile” ripetè Luciano - con assoluta certezza medica – al dott. Marchetti direttore generale di una grossa impresa di import – export con sede al decimo piano del palazzo. Gettò via il bicchierino bianco nel quale aveva consumato con fretta il suo espresso senza zucchero della mattina e piantò gli occhi sul povero Luciano.
“Forse – bisbigliò il dottor. Marchetti – sarebbe bene fare sapere a questo straccione chi sono io e quali responsabilità ricopro in azienda”. Ma poi – vista la singolare attenzione con la quale Luciano stava ad ascoltare le sue vuote parole che tentavano di mantenere in piedi un castello di carta ormai crollante – decise di raccontare al nuovo amico tutti i suoi travagli.
Due ore. Fu il tempo del suo racconto. I passanti non credevano ai loro occhi. Il dott. Marchetti che perde due ore del suo prezioso tempo per parlare con un vagabondo. E la produzione? I nuovi accordi con la filiale thailandese, la data del consiglio di amministrazione da fissare. La logica di un sistema soppiantata da un gesto così inconsulto e semplice insieme.

Quando finiva la scorta di caffè, di buon mattino si presentava Luca. Il tecnico che gestisce la manutenzione di quell’apparecchio. Anche lui è sempre un po’ di corsa. E’ la prima tappa di una lunga giornata. Capì subito che perdere tempo con Luciano è sempre un investimento, un guadagno. Così tra i due nacque un’amicizia da cui Luca trasse enorme benefici per ricostruire il suo matrimonio, per sanare i rapporti con i genitori, per recuperare vecchi rapporti.

Gli avventori alla macchina da caffè erano sempre maggiori e nessuno disdegnava l’idea di fare due chiacchiere con Luciano. Tanti tornavano solo per ringraziare. Luciano ascoltava, capiva. Di rado parlava.
In un mondo che va di corsa Luciano era come un porto sicuro confortante, caldo, accogliente.
Nel palazzo non si parlava di Luciano. Non era previsto dalle procedure. Ma l’aria che iniziò a respirarsi si faceva sempre più distesa, più tersa.

Nessuno quindi disse nulla il giorno che Luciano non si presentò più alla solita panchina accanto alla macchinetta del caffè. Questo è il destino dei vagabondi: a volte spariscono.
Ma avendo conosciuto Luciano, nessuno ebbe il dubbio che anche quella volta sarebbe andato alla ricerca di una nuova panchina. Vicino ad un’altra macchinetta da caffè.

Ma comunque sempre al posto giusto. E al momento giusto. Forse.

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