Pubblicato il 04/02/2011 10:11:42
A margine di un progetto teatrale: I TEMPI DEL POETA IN PIAZZA
Quando si pensa a Ignazio Buttitta, la prima immagine è quella di una piazza, di un pubblico, di un attore che occupa prepotentemente la scena.Si pensa ad un evento teatrale. L’immagine dell’evento teatrale è immediata, spontanea, non solo e non tanto per la figura del “poeta in piazza”, ma perché la poesia di Ignazio Buttitta nasce essenzialmente per essere, come dice Contini, “eseguita”, cioè teatralmente rappresentata. La strofa, la misura del verso, il ritmo, non sono dettati dalla ricerca di una formalizzazione lirica, ma rispondono ad una esigenza teatrale. La poesia per Buttitta non parole con le quali riempire la pagina.La parola è un semplice flatus vocis, fino a quando non si fa corpo, gesto, voce, fino a quando non si trasferisce viva e vibrante in chi ascolta. Potremmo dire come accade nei momenti magici che il teatro riesce a produrre, che la poesia di Buttitta è corale, nel senso che è poesia in atto, creazione, che per reggersi presuppone una componente indispensabile, un co-autore:lo spettatore. Come ben sapevano i greci, anche per questo nostro èpoeta poesia è poiéo:fare, agire, suscitare. E vien fatto di pensare a Lu Hsun, il grande scrittore rivoluzionario cinese, al suo rovello per il tragico/ridicolo della parola -“spettro”, della parola che rimane al di qua dell’azione, e non è nulla finchè, appunto, non diventa azione. C’è un passo nella prefazione a “Il poeta in piazza” molto significativo:Dice il poeta:<Pensavo tutte le volte alla possibilità di trasformare la recita in un discorso più nettamente politico, ma non riuscivo a trovare il linguaggio adatto>. E si capisce:prima di ogni altra avventura intellettuale, Buttitta, come Lu Hsun, è un poeta.E’ vero, se avesse potuto, non avrebbe scritto un solo rigo.Ma naturalmente non poteva. Non poteva ingannare se stesso e con se stesso quel popolo, dentro il quale era capace, come ebbe a dire, di “pescare pesci vivi”. Eppure il dubbio, il cruccio, forsanche il rimorso del privilegio di essere poeta, di tanto in tanto percorreva il suo fare poetico:”U rancuri”, scritta nel ’69, è la più alta e commovente testimonianza di questo suo stato d’animo.
L’essere il “poeta in piazza”, possiamo suppore, fu un nobile, incoercibile compromesso. Sappiamo del suo amichevole dispetto quando, ad es., Sciascia o Vittorini gli chiedevano di poter leggere con gli occhi in silenzio il componimento, prima di ascoltarlo dalla sua viva voce. In questo senso e più profondamente, anche rispetto all’essere poeta che sta dalla parte del popolo, Buttitta è poeta popolare, l’ultimo grande poeta popolare, figlio legittimo della secolare cultura orale del mondo contadino, quando, come dice Sciascia, “il poetare coincideva con l’esistere”.Cioè, con la vita quotidiana, nell’alternanza di gioie e dolori, di accadimenti seri o buffi, entro un orizzonte forse meno ampio(ma è assunto questo tutto da verificare), ma sicuramente più autentico e profondo nel delineare lo stile e il destino di un popolo. Non a caso, la più grande poesia di Buttitta trae spunto dalla cronaca, dalla tragedia di Portella, al ridicolo delle corna del marito tradito. Il grande merito, la modernità e la grandezza di questa poesia è nell’avere innalzato, trasfigurandola, la cronaca a evento storico, nell’avere tramutato la storia particolare di questo o quel personaggio, che non fanno storia, in un emblema di una civiltà superiore, in simbolo di un riscatto umano e civile. Turiddu Carnivali o Rosa Scordu, sarebbero nomi, come i tanti oggi, soprattutto oggi, dimenticati. Il poeta li ha tolti dall’oblio della cronaca e ne ha fatto portavoce della parte migliore dei siciliani. E di loro il popolo si ricorda come epopea che gli appartiene. Questo volevamo dire per dire che uno spettacolo su Buttitta ci sembra l’omaggio più conveniente per onorare la sua memoria.
Nicola Lo Bianco
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