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Taxi Teheran : il meta-film di protesta di Jafar Panahi

Argomento: Cinema

di Piero Passaro
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Pubblicato il 22/10/2015 19:34:09

Vincitore dell’ orso d’oro del festival cinematografico di Berlino 2015 , Taxi Teheran è prima di tutto un film in cui così raramente si può osservare una finzione perfettamente “reale” , in cui gli elementi filmici e profilmici si mischiano l’un l’altro. Non a caso convincere la giuria del festival tedesco è stato proprio quest’urlo silenzioso del regista Jafar Panahi , con un Darren Aronofosky (presidente di giuria) sensibilizzato e ispirato dal caso del regista iraniano.
Taxi Teheran mostra il regista fingersi un tassista per le strade di Teheran con una telecamera fintamente nascosta al fine di creare un nuovo film nel suo paese. Il coraggio e la non-curanza hanno mosso la creazione di questo film a seguito della sentenza del 2010, da parte del governo Iraniano , di non poter scrivere, dirigere, produrre alcun film all’interno del paese per vent’anni. L’ incredibile ammonizione era stata emessa a seguito della partecipazione a movimenti di protesti avvenuti a maggio 2010 a favore dei diritti umani e del mondo del cinema e, successivamente all’arresto del regista.
I film di Panahi sono sempre stati degli espliciti attacchi alle rigidità del proprio paese ; Offside e Il Cerchio hanno investigato sulla limitazione dei diritti delle donne, vincolate anche da regole religiose. Con quest’ultimo , il film stesso diventa una testimonianza dei vincoli del regista stesso, una sorta di capitolo meta-referenziale realizzato in prima persona.
Taxi Teheran mette dunque in scena la società odierna in cui il regista vive, illuminando le contraddizioni e le ipocrisie del sistema. I vari passeggeri che, durante il film usufruiscono del servizio fittizio del regista, creano delle scenette e delle gag perfettamente metaforizzate e significati ; gli esempi che si dimostrano più agguerriti e diretti nei confronti della cesura e della manipolazione dell’informazione sono senza dubbio quelle relative all’educazione dei bambini (mostrata tramite la vivace nipotina del regista) , e quella del venditore abusivo di film esteri. Ogni dettaglio e ogni parola sono condensati in modo preciso e tagliente.
Anche gli attori si mischiano sottilmente alla realtà che Panahi ricostruisce ; tutti partecipano perfettamente a collocare questo viaggio in taxi in una verità attuale più vicina che mai agli spettatori. Gli attori non creano personaggi con un proprio intreccio bensì riescono nell’intento di creare una rappresentazione collettiva della gente di Teheran , alle quali il regista vuole fortemente comunicare precisi messaggi.
Panahi ci tende la mano per fornirci ,in prima istanza, un onesto messaggio d’amore per il suo paese e per il cinema ; secondariamente egli dimostra come l’informazione e l’arte cinematografica non possono essere controllate e messe a bando, soprattutto perché le limitazioni rafforzano le convinzioni dei fautori d’arte visiva. Un film coraggioso, importante e intelligente per la capacità di creare “arte sociale”.


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