Pubblicato il 10/09/2012 12:00:00
È rimasta muta per molto tempo, lei, sepolta come un’animale morto Sotto un cumulo di neve. Pensavo che mi avesse abbandonato. Invece è tornata l’altro ieri: era appoggiata allo stipite della porta. Al vederla tutta livida di graffi, uscita a forza dalla sua scorza, così spossata, ne fui sorpresa: vibrava di dolore, come stordita, ma mi voleva, ancora. Con il suo piercing rotondo sulla lingua baciandomi mi fece male al palato molle, l’acqua della sua bocca aveva gusto di metallo - e tintinnarono i denti al passaggio del suo respiro. Mi promise la diversità del desiderio. Ora io e lei, all’alba, ci alziamo da letti duri di cemento sporchi di colature e ruggine, mentre le saracinesche stridono sul mutismo delle cose. Ogni tanto mi chiedo perché ha abbandonato quel suo placido celarsi dentro le foglie e i petti caldissimi ed innocenti degli animali in volo; la morte era cosa da poco dentro il fiore, un piegarsi leggero e sgualcito, mentre qui anche il colore del cielo è trapassato dall’alone delle lampade fluorescenti, e le ombre dei passanti barcollano agli angoli. C’è chi stringe tra le mani un volante per lacerare l’insonnia; - là i grilli - ricordo- erano ossessionati costruttori di una canzone estiva adatta alle più serene oniriche visioni - e la matta del terzo piano, di fronte, strilla un vocabolario sdrucito che s’affolla e batte come un uccello cieco contro la serranda del garage e poi cade ruotando con le polveri sottili sulle mattonelle del cortile. Finché qualcuno con una dose di morfina la ripiomba nel sonno e in quel silenzio che è una lotta ed un’astuzia della compassione. Ah, ma guarda!, mia cara, è affiorata la luna in questo rettangolo seghettato dai cornicioni, ed è bella, è chiara, sì, trasparente, però quasi vana, se non fosse che un qualcosa d’argento sta tremolando in un catino colmo d’acqua sporca dimenticato in balcone.
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