Voglio posare sul tuo petto il capo
perché non si dà più ospite contrada.
E l’ombra mia più fresca è quella
che i frastagli costella, quietamente,
delle tue socchiuse ciglia, chine
sopra la mia ingarbugliata fronte.
Voglio che l’oro delle tue pupille
di luce mi rivesta, e il tuo sorriso
le mie albe riscaldi, e pur di stelle
gli spauriti miei tramonti accenda.
Al ritmo mi avvierò del tuo respiro
verso l’abisso d’un serale sonno
rorido di baci, le tue mani
amiche teneramente discorsive
con le mie palme sbigottite e manse,
alle quali mostrando vai la saggia via
del sereno riposo, che già torna,
mirabilmente, ad essere fanciullo.
E scandisci per esso, col pulsare
segreto del tuo cuore, melopée
soavi di tregua e possibili accordi
fra i guasti del mio vivere frusto.
Intanto, come pane fresco di forno,
esala la tua pelle un che di buono,
qualcosa d’essenziale: un nutrimento
che sostiene il mio, forse incerto, passo
verso la soglia del non – luogo, dove
l’andare mio si siede e aspetta …
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