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Ricchezze d’altri mondi

di Valentina Grazia Harè
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Pubblicato il 29/04/2012 12:46:25

La ragazza, Vicky, e la signora, Franca, erano in realtà due intellettuali che interponevano tra il pensiero e l'azione un poetico oceano. Erano sempre in alto mare, perse nella loro inerzia... che quasi la ebbero in odio. Infatti si decisero un giorno: essere più pratiche e tentarono nella loro profonda indolenza la strada della politica. Che avrebbe dovuto avere la funzione di svegliarle dal torpore, una risposta all'ozio che le rendeva due sonnolenti esemplari di bradipo, due mummie mezzo sorridenti, non del tutto perché lo sforzo sarebbe stato maggiore.

Allora conobbero un tipo mezzo matto, mezzo genio, che vendeva le sue ciambelle per la strada del paese. Questo tale si chiamava Fizio dell'Ori. E il suo rione d'appartenenza era Madonna del Soccorso. Perché quando lui passava la gente chiudeva le finestre invocando la sua Madonna, che li salvasse da quell'uomo e dalla tentazione di quel diavolo sempre iperglicemico.

All'angolo della stanza, le due amiche stavano lì a parlare e talvolta aleggiavano attorno a loro delle risate, come a dire: "che bella giornata, che bella la vita quest'oggi!" Ma poi tornavano mute, forse come a ricaricarsi dall'energia impiegata nel ridere.
Fizio si avvicinò: la gente allegra lo rendeva intraprendente, e ne carpiva sempre più allegria da portare con sé nei suoi giretti per il paesino.
Fizio era ricco, si diceva che fosse un parlamentare che però voleva mantenere quella vetrina di semplice e allegro venditore ambulante, con le maniche alzate e il sorriso alla portata della gente che incontrava. Ma il guaio era che non sempre Fizio era allegro, a volte aveva interi mesi di depressione... e allora cantava canzoni funebri e la gente si segnava con una furtiva croce, e invocava la Madonna del Soccorso.

"Franca, dobbiamo porre un argine al nostro ozio, affinché non ci mangi tutte".
Vicky le diceva questo non senza una vaga ansia, forse era per quella che si manteneva in linea, coi suoi problemi di colite che erano la sua più fortunata sventura.
Al che Franca approvò in pieno, come una botta in piena fronte, quell'azione di cui sentiva tutto il carattere pratico. E bisogna dire che loro vivevano come staccate dal mondo. Quando lo ricordavano, mangiavano... ogni tanto. Vivevano leggendo e perdendosi in pensieri distratti.
Dovevano darsi la sveglia, ogni giorno, telefonandosi. Ma, puntualmente, la parola che si dicevano per telefono era: "Buonasera, e non buongiorno".

La politica era l'unica via per rimettere i piedi sulla terra e atterrare un po' a dispetto dell'ascesi che le innalzava e tagliava i fili che legavano agli amici e ai fidanzati rendendole delle entità aeree senza amicizie. Ma con una carissima amica: l'albagia di sentirsi più in alto di tutti.
Si capisce adesso come un uomo, Fizio, talmente orizzontale da far invidia a un orizzonte, rappresentasse l'esigenza di un nuovo amico.

Lo incontravano ogni mattina: il primo passo fu questo: "svegliarsi prima del calar del sole".
Lui era lusingato di avere come amiche due intellettuali, nel suo campo, in politica, non ne conosceva.
Però, a rotta di collo, un danno seguiva l'altro: le due signore ne combinavano di cose: si addormentavano su quelle comodissime poltrone riservate ai pezzi grossi e poi dicevano che era impossibile non addormentarsi lì, e sputavano la colpa alle poltrone: le definivano tendenziose.

Ma Fizio le aspettava ogni pomeriggio per portarle a casa con la sua lambretta. E, a cavallo di quel destriero economico, tra ciambelle che facevano recuperare energie alle due donne stava Fizio che doveva stare attento alla guida con i gomiti perché con una mano mangiava la sua ciambella e con l'altra lisciava i capelli di Vichy e le sussurrava: "come sei dolce!", e lei rispondeva nervosetta: "certo, mi hai impomatato di zucchero tutti i capelli!"

In poco tempo le due politiche divennero davvero sospette, e il caso volle addolorarle con una colpa che non era loro: mancavano dal ministero del tesoro diversi soldini... e tutti sentirono che loro due dicevano: "il nostro tesoro ci aspetta, che bel giro faremo!", ma loro si riferivano a Fizio e al giretto nella mitica lambretta che avrebbero fatto. Niente di subdolo.

Infatti anche quel giorno Fizio le aspettava lì, all'uscita dal loro comodo lavoro.
Era più allegro del solito, disse: "il mio motto è...", e le due donne conclusero, sorridendo, per lui: "tutte le mie opere hanno il buco. Sono tutte riuscite", Fizio dell'Ori diceva questo ed era un momento roseo della sua giornata. Il colore di questa parola lo fece sorridere, e gli occhietti divennero maliziosi, come due marachelle di bimbo.

E tra le risate, ponderate, dei tre scansafatiche, il vento girellando per il paese li contrariava confondendoli. Stava per arrivare un bell'uragano, ma loro scesero dal loro macilento destriero gonfio di ciambelle e a piccoli passetti corsero dentro casa.
Le due amiche abitavano una al primo piano, l'altra al secondo della stessa palazzina.

Ma tanta era la loro vicinanza amicale, non proprio spaziale, perché le separava un piano, e quell'ascensore aveva uno sportello così pesante... mica era automatico come loro sognavano...

Quindi a supplire questa lontananza delle due, che vivevano come in una simbiosi divertita, c'era il provvidenziale telefono: regalo della tecnologia che alleviava le loro distanze. E le dipingeva di calore umano.

Ma tutto loro potevano immaginare, ma preferivano il minor dispendio di idee, perché se no le rubavano alle loro opere letterarie.
Il telefono era controllato. Qualcuno spiava le loro conversazioni che ahimè erano innocenti, ma tutte le frasi involontariamente tendevano al fraintendimento.

"Il nostro tesoro, dobbiamo proteggerlo", disse Franca, e i due poliziotti si guardarono e dissero fra loro: "perché non dicono dove lo proteggono? che vi facciamo un salto... un salto scrosciante di monete…", disse un certo Ispezio dell'Oro che era pure corrotto come il suo collega. I due poliziotti pesavano ogni parola, sperando di pesare anche ogni moneta, allo stesso modo.

Le due signore continuavano a parlare del caro Fizio. "Per ora il nostro caro Fizio dell'Ori è entrato nel tunnel, è così triste".
E al posto della brutta depressione i due capirono: nel tunnel della malavita.
Mentre il lettore può dare la sua, di interpretazione. Certo, era che quell'uomo vagava nel suo tunnel buio e aveva lavorato così appassionatamente alle sue ciambelle, perché venissero tutte rigorosamente col buco che quasi quasi era finito prigioniero nel lavoro delle sue creature. Di cui vantava sempre la riuscita.
Era un'artista delle forme tondeggianti e del varco di simpatia che si apriva fra la gente quando i suoi clienti si scansavano quando lui si avvicinava, per fargli posto. Alcuni per andarsene perché quella tentazione minacciava l'integrità di stomaco e di buon gusto.

"Se non fossimo passati da lui, avremmo ancora la nostra incolumità...", disse con un po' di rabbia la giovane artista, che si riferiva alla loro indigestione, poi aggiunse: "è da tutto il pomeriggio che vado avanti e indietro dal bagno, e getto tutto, è una liberazione gettare tutto".
"Ma come?", disse Ispezio, "gettare tutto? dobbiamo impedirlo, si tratta di un capitale!"
Il suo collega disse: "è pericoloso tenere tutti quei soldi, forse si sentiranno in colpa. Credo di cogliere un po' di rimorso".

La più matura delle amiche disse: "ma perché l'abbiamo seguito, il nostro Fizio? lì in alto a mangiare su quel colle, a festeggiare? Ma poi quanto c'era da mangiare!"
"Ne desse un pochino anche a noi. Anche noi vorremmo mangiare!", disse il più corrotto dei due.
"Ma ora non mangeremo più per una settimana, di questo passo".
"Lo dicevo", disse Ispezio, "lo dicevo io sono impaurite e hanno fatto il fioretto di non mangiare più ingenti somme... ma noi no!"
"Aspetta, la cosa deve essere molto più estesa del previsto. Hai sentito: dicevano che hanno seguito Fizio in alto, quindi è con altri potenti che hanno mangiato".
"La solitudine è brutta", disse l'altro poliziotto, ma voleva dire: "la solitudine di una piccola banconota senza compagnia di altre..."

Alla conclusione della telefonata, le due si dissero di voler tornare alla più pacata vita d'artista.
Franca disse: "ritorniamo alla solita vita, con le nostre risorse?"
"Sarebbe meglio", rispose la cara amica e con un sospiro di sollievo disse: "noi abbiamo un pozzo da cui attingere senza fatica..."
Al che i due colleghi si scambiarono uno sguardo d'intesa e dissero: "è fatta, dov'è questo pozzo?"
E come in risposta, le due signore che continuavano il loro discorso, dissero: "dal pozzo dei nostri sogni. Le ricchezze che ci vengono incontro, così senza nessun sudore, naturalmente". Franca parlava serafica, poi ancora disse: "è un mondo, questo, che non ascolta più i suoi sogni".
Il poliziotto disse, non senza una dolce lacrima in un viso così duro: "il mio sogno era quello di sottrarre loro il denaro per regalarlo alla mia mamma che vorrebbe creare un circolo culturale. E' una pittrice… la mia mamma..."
"Mah", disse l'altro, "vediamo un po' dove abitano. Magari possono darci qualche consiglio, qualche sogno..."
"Sì, siamo più ricchi. Ed essere ricchi, seppure in questo modo, è un sogno nella vita. Ma in fondo è bello essere ricchi, almeno in sogno. Prima non lo eravamo né in sogno, né nella realtà".
E le due donne per telefono si salutarono piene di un dolce affetto, stanche della lunga conversazione, bramando il riposo; mentre i due poliziotti scoprivano di avere un cuore

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