Pubblicato il 27/03/2012 14:26:38
Erano le 7,30 quando uscii di casa e il sole già inondava lo spazio lasciando nell’aria il tepore tipico di marzo. Mi ero svegliato presto a causa dei dolori alla schiena, che ormai da un anno mi assillano, causati da un’ernia al disco. Fatta colazione, decisi di uscire a respirare un po’ d’aria fresca senza una meta precisa sapendo, comunque, che la sosta al bar per un caffè e lettura dei giornali sarebbe stata la prima meta a cui, ormai da anni, non so rinunciare. M’incamminai dunque. L’aria, come previsto, era ancora frizzante e la giacca leggera mi fu d’aiuto. Coprii in breve tempo le poche centinaia di metri che separano casa mia dal bar e mi rifugiai dentro. Il bar era già pieno dei primi avventori per il caffè o cappuccino prima di recarsi al lavoro. Ordinai alla barista il solito caffè e, preso il giornale, mi sedetti nella saletta per fumatori, ancora vuota a quell’ora; di solito si riempie dopo le otto quando arrivano i pensionati e gli operai dei turni. Nell’attesa del caffè incominciai a sfogliare il giornale leggendo i titoli e poche righe degli articoli che più attraevano la mia curiosità. Quando la cameriera, di cui non faccio il nome perché potrebbe essere chiunque, mi pose il caffè davanti, smisi di leggere e me lo gustai a occhi chiusi assaporandolo in ogni sua espressione, dopo di che accesi una sigaretta e, anch’essa, l’assaporai fino all’ultimo tiro. Durante quello che per me è un rito a cui non so rinunciare, come mi succede sempre, mi assentai completamente dalla realtà al punto di non accorgermi dell’entrata nella saletta d’un mio amico, e del suo saluto. Solo dopo aver spento la sigaretta notai la sua presenza. - Ci sei? chiese M. mentre sorseggiava il caffè. - Ciao - risposi - si, ci sono. Scusa se non ti ho salutato subito, ma ero impegnato a gustarmi la prima sigaretta e non t’ho neanche visto entrare. - Niente - disse M. - Che c’è di nuovo? - chiese poi. - Oh, le solite cose sai. Le solite liti tra politici e qualche omicidio qui e la in giro per l’Italia. - Risposi rimanendo sul vago. E tu che mi racconti? Niente lavoro oggi? - Purtroppo oggi no! e neanche domani e dopo domani e … Rispose l’amico con la faccia alquanto truce. - Come, sei stato licenziato? - Si. Lo disse quasi avesse vergogna. Quasi fosse una colpa l’essere stato licenziato. - Scusa ma non capisco. Non eri stato assunto a tempo indeterminato? Dissi io. ma conoscevo già la risposta. Mario mi guardò e dal suo volto traspariva rabbia e delusione. Poi disse - si, dopo l’apprendistato, sei mesi fa, mi confermarono il posto fisso, ieri, con la scusa del calo di lavoro, il licenziamento. Ma non sono l’unico, con me ne hanno licenziati altri 15; cinque come me e dieci anziani. Operai che lavorano li da decenni e che ora, a cinquanta cinquantacinque anni suonati, si ritrovano sulla strada. E non credere che troveranno lavoro facilmente. Ha quell’età, al massimo, si può fare qualche lavoretto da precari. Si fermò un attimo a tirare fiato e poi riprese - In effetti, per quanto riguarda me e i cinque, è stato solo un giochetto per ottenere i soldi dal governo. Per gli altri dieci, un alleggerimento di personale troppo vecchio per sostenere i ritmi imposti. E poi, va anche detto che riassumeranno giovani come apprendisti perché più disponibili nella speranza d’essere confermati al posto fisso per poi ripetere il giochetto. - Già - dissi - con la cosiddetta riforma del lavoro hanno dato mano libera agli imprenditori sui licenziamenti. Ma - ripresi - i sindacati che dicono? Se non sbaglio, dovresti avere 15 mesi di buona uscita e 12 mesi di 119.000 euro dallo stato. - Si - rispose - e dopo? Il problema non sono solo i soldi, che anzi e per fortuna, per quanto mi riguarda, non mi mancano dato che mia moglie lavora e col suo stipendio riusciamo a tirare avanti. Il problema più grosso è l’incertezza, l’impossibilità di poter programmare il futuro, in modo particolare quello dei figli. Prese fiato un attimo poi riprese - Ho trentacinque anni e ancora non sono riuscito a trovare un posto fisso, ti rendi conto che questa non è vita! Quasi aveva urlato nel dire l’ultima frase. Chinò il capo e disse - scusa, non ce l’ho con te, anzi …, ma quando una persona, e credimi, come me ce ne sono a decine di migliaia se non a centinaia di migliaia, non riesce a fare un minimo di programma perché viene continuamente sbattuto qua e la, su e giù per l’Italia, (si riferiva al continuo trasferimento a cui i senza lavoro fisso - ed erano la stragrande maggioranza perché, ormai, erano pochi i lavoratori che riuscivano a mantenere lo stesso posto per tutta la vita - erano costretti se volevano lavorare) tra licenziamenti e riassunzioni che non danno mai la certezza del posto e di un reddito fisso che, anzi, con la concorrenza che s’è creata tra noi lavoratori, anche gli stipendi sono progressivamente in calo. Disse tutto d’un fiato, con la faccia rossa di rabbia. Poi si calmò. Ma era evidente lo sforzo di mantenersi calmo. - Tutto questo - continuò con calma apparente - non può continuare all’infinito. Prima o poi succederà qualcosa d’irreparabile e, allora, possiamo anche dire addio al po’ di libertà rimasta.
Dalle sue parole traspariva una rabbia che ormai faceva fatica a contenere. Tanto più che era repressa da anni di incertezze e dall’impotenza di fronte al potere che non dava nessuna assicurazione ai cittadini. La rabbia era accentuata dalla piena coscienza che, lui stesso, contribuiva, col voto, a rigenerare il potere. Conoscevo benissimo la realtà che si era creata con la riforma. Riforma che, col passare degli anni, aveva dato origine a situazioni visibilmente disagiate tra i lavoratori. Tutto questo era stato giustificato con la necessità di far fronte alle esigenze di mercato nate con la globalizzazione.
Sospirai, cosa che facevo quando non avevo argomenti da ribattere alle argomentazioni dell’interlocutore. In questo caso, però, era l’effetto del disagio creatomi dalla situazione di M. che conoscevo da anni e sapevo gli sforzi fatti per inserirsi nel lavoro. M. era il tipo d’uomo che, trovandosi di fronte alla scelta di lavorare sodo per dare sicurezza alla famiglia anche con dieci dodici ore al giorno o protestare per i propri diritti, aveva, salvo casi particolari, sempre scelto il lavoro. Ma questo non era servito a nulla, Le scelte dei datori, evidentemente, seguivano percorsi diversi dall’impegno e capacità dei dipendenti quando si trattava di ridurre il personale. Ora, sembrava che M. si fosse accorto di questo e non era più disposto ad assecondare il datore in tutte le sue richieste e, questo, rendeva ancor più problematica la sua situazione.
M. vedendomi sospirare, per un attimo sembrò volesse aggiungere qualcosa che chiarisse il suo pensiero. Ma rinunciò limitandosi a sorridere e, tranquillo, come se volesse rassicurarmi, chiese di nuovo scusa per aver dato l’impressione d’avercela con me. - Non ti preoccupare - dissi - capisco benissimo i tuoi problemi e so, per esperienza, che le cose non durano in eterno. Mi spiace che persone serie e impegnate come te non abbiano il riconoscimento che meriterebbero, così come mi dispiace che, oggi come oggi, i lavoratori siano costretti a subire le manchevolezze del sistema.
Intanto, la saletta s’era riempita di persone che, chiacchierando tra loro, non avevano fatto caso al nostro discutere un po’ animato. M. si alzò, mi salutò sorridendo, e uscì dalla saletta. Io rimasi ancora il tempo per una sigaretta poi decisi di andarmene; in fondo, era una bella giornata e valeva la pena di godersela.
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