Da dove è riemersa la tua figura
più di una volta nobile e snella?
Forse da dove come Cariddi e Scilla
rampanti si scontrano lo spazio e il tempo?
E sembri muta chiedermi come trasmuti
in uno sbaraglio la mia sera, se lo stesso ti penso,
se pure disseccato il mio cuore ancora ti spera.
Tu sai, noi sapemmo, che speranza è un
guardare fidi all’orizzonte credendo s’alzi
l’astro, il volto spasimato, eppure conosci
del miraggio cieco il giudizio che ne ho dato.
Io non spero né dispero. Sono dove spira
non la mente il sentimento, arde quello
che mi tocca e fa di me un povero contento.
Non ti chiedo, o riemersa, del profondo
che ti occulta mentre più io non attendo,
e mena dell’ultima sua inezia gloria il mondo.
La vita è solo scaglie d’una serpe vile
che dopo che t’ha morso lenta poi s’abbiscia
sul cottimo saziato delle sue infiaccate spire.
Dai tali circondato e poi dai quali
eterni come frusti fogli di giornali
ormai provetto ho appreso l’arte
protetto di starmene in disparte.
I tuoi occhi come un tempo,
gli occhi supplichevoli di bene …
Quello che in mezzo vi si pose
non mi riuscì di battezzargli un nome.
Perché riemersa in queste ore
a chiedere lo stesso, il fiato che allora
già non ti rispose, tu riemersa, ma da dove?
Credo che a te accanto rassegnato
abbia scelto di restare anche l’amore.
(riproposta)
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