“La costanza del cielo” è un libro che si caratterizza per una sua estrema eleganza e per una sua forza espressiva ad un tempo sommessa e penetrante.
La raccolta poetica, essenziale ma di una densità particolarmente ricca di felici intuizioni e suggestioni espressive, costituisce un nuovo rilevante esito del percorso della parabola esistenziale e letteraria dell’Autore, iniziata nel 1999 con la raccolta “In corpo vivo” e continuata in altre prove di diverse sillogi edite o proposte in digitale, la cui più evidente caratteristica è proprio “la costanza”, la coerenza di Stefanoni nel misurarsi, nella sua poesia, con i riferimenti che contraddistinguono la sua condizione di uomo, prima che di scrittore: l’ignoto, l’indefinito, presente nella nostra esistenza, individuato in quel “cielo” del titolo, di cui si percepisce, al di là di ogni contrastante dinamica dei nostri difficili tempi, una immutabilità mai in discussione per volontà categorica, oltre che per assiomatica verità, rintracciata nell’essenza recondita delle cose, nell’esperienza umana indefettibile, pur in una sua apparente, contingente “sconfitta” del momento storico, apparentata con altre esemplari figure poetiche amate, come Mahmood Darwish, in cui la fede nell’Uomo, in tutte le sue potenzialità, in tutte le sue risorse di oltrepassare il presente momento di parziale esito avverso del processo storico e civile, non lascia spazio ad alcuna ipotesi di resa.
Un’impossibilità di resa in cui Gian Piero Stefanoni continua a confidare, a me sembra, prima di tutto in virtù di un Dio palesemente quasi “innominato”, forse per rispettoso pudore, ma nel quale è riposta la tenace speranza di riscatto da una fase dell’umanità in cui non si può non ravvisare un’ulteriore minaccia disastrosa, terribile, crudele, foriera troppo spesso di immani tragedie, di insoluti enigmi di un nuovo orrore.
E lo strumento elettivo cui Stefanoni è chiamato a ricorrere, nella sua personale battaglia in questo scenario tanto complesso e critico, è propriamente la Parola, la sua parola poetica quasi sempre saldamente fiduciosa, con intimo coraggio e sofferta tenacia, di potere ancora e più che mai opporsi ad ogni tentazione di acquiescenza. Questa Parola, umile e sapiente, si propone come elemento di chiarificazione, di individuazione di un percorso forse, appunto, salvifico, un percorso in stretto vincolo a un’adesione perentoria alla moltitudine degli elementi della Natura che non cessano mai di fornire spunti di illuminazioni e risorse di resistenza ad ogni inevitabile difficoltà e sofferenza del vivere.
E proprio in questa “costanza del cielo”, che è limite della terra, ma anche sua continuazione, il Poeta rintraccia quel “ferito splendore”, come uno “strappo nello sguardo”, non arreso, “un lenzuolo dispiegato”, uno “sfondo senza lenti”, “oltre” ultimo della “finitudine delle forme”, “specchio sconfinato” che accoglie ogni ombra, riflettendo la sua luce incontrastabile, “campo spianato”, “ponte più estremo”, “non spazio”, non “facile voce dell’ipotesi divina”, ma “il libero azzurrarsi del tramonto / nel profilo dorato del salmo”, “insondabile costanza che non cede”.
Tutta la raccolta, nella sua riccamente delineata varietà di temi, di suadenti, duttili e misurati ritmi, di incisive evocazioni iconografiche, concettuali, simboliche, sembra pervenire ad un bilancio esperienziale in cui la dimensione etica, estetica, metafisica procedano armonicamente verso una dimensione limpida, seppur travagliata, e integra, seppur complessa, da offrire all’indenne creaturalità del Poeta, accolta e risolta in uno sguardo eretto, oltre ogni abisso, grazie alla sua irriducibile, conquistata, io credo, ancor più che connaturata, certezza, molto vicina a una risposta primitiva e permanente, di un Assoluto che sembra ancora rivelarsi in una sua evidenza salda, vitale, aperta e profonda, in un’opera che riesce pienamente a darci, di questa riconfermata conquista, una sua rigorosa testimonianza in un affabile canto.