Dio della mia adolescenza
il tuo cadavere galleggia ancora
nel cielo del solstizio.
Il sole ammalato di dicembre
non può nasconderti per molto
e le tue membra gonfie
ogni tanto fanno capolino.
Per troppo tempo il mare
ti ha nutrito del suo sale
e la tua vendetta è stata
trattenere la sua acqua
come un oscuro seme
per partorirgli un tormento
nel cielo delle illuse beatitudini.
Dio della mia adolescenza
il tuo silenzio si affaticò
invano alle mie tempie
quando credevo di poterti
raggiungere a piedi
tamburellando con dita
entusiaste e ironiche
fianchi di cattedrali
illuse di parafrasarti.
Sotto le tue palpebre calate
furono archiviate l’estate di quell’anno
e quella di quell’altro ancora
e la ruminazione burocratica del tempo
e la necessità della rosa e della spina
e tutto quanto potei esibire e posso
della antica, sabbiosa confidenza.
Dio della mia adolescenza
ti abbassasti troppo ai frantumi
che ti sfuggirono di mano.
Non aspettava altro il mare
che pescare per vendetta -
e fu un attimo - la perplessità
del vecchio occhio al nuovo brulicare.
Ci sono gioie che non si devono dire
che nel sonno, che il sonno stesso
deve tessere con sete di silenzio.
Per questo anch’io taccio il resto
e la vita che fiorì orgogliosa
sui nostri diversi tumuli.
La gioia che ti riservasti
fu la stessa che ti uccise:
creare un mondo sotto le stelle
guardando l’opposto cardinale,
come un bambino si lancia confidente
una palla dietro le piccole spalle.
Dio della mia adolescenza
va’ nel sole, consumati,
dove io stesso mi consumo,
dove ogni preghiera,
ogni lamentazione è incenerita.
Facciamola finita,
vecchio dei giorni ormai trascorsi.
Io sono stanco di trascinare
il tuo cadavere per il mondo,
di rispondere ogni volta
che non so chi sei,
di aggiungere menzogna a dolore,
di dovermi difendere ogni momento
dall’amore.
(riproposta)
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