Pubblicato il 02/10/2014 18:44:36
Oggi pomeriggio m'è venuta voglia, per dirla alla Moretti, di scrivere una brutta poesia, ma in prosa. Guardavo il cielo, azzurro e puro, di quell'azzurro che Proust ha descritto così bene nel quinto volume della "Recherche" - non appena farò ritorno al Nord, alla mia provincia, alla mia casa reale, andrò a rileggermi quel passo splendido: è la descrizione del mio colore preferito, rappresentato con le parole migliori possibili. C'era una lieve brezza, come l'ultima traccia dell'estate magnifica che ho vissuto quest'anno, l'addio commosso e silenzioso, carico di emozione, di una persona cara che ci dice addio dalla banchina affollata di un binario, mentre le porte del treno si chiudono e per la stazione risuona il fischio prolungato del macchinista al finestrino: è ora di andare via per un po'. Sedevo su di una panchina, sotto gli alti platani antichissimi ed espiravo piano il fumo della mia Philip Morris blu. Ero calmo e stanco, come dopo una giornata di lunghe passeggiate in riva al mare: appagato e colmo di speranze, illusioni forse. Fantasticavo di improbabili incontri con ragazze dolci e dai capelli castani che si comportavano gentilmente con me e mi tenevano per mano, magari proprio sotto quegli immensi alberi lì, in un'immaginaria sera di dicembre, con la neve che scende e i riflessi irreali dei fiocchi cadenti che paiono stelle minuscole giunte ad illuminare un tipo ideale di amore. Stavo bene in quella pacifica zona neutra, col mio tabacco scarso e con i pensieri rivolti altrove, lontano finalmente da lei che è lontana, da lei che non ho più accanto, da lei che non sogna mai di me, probabilmente. Ed ecco che, improvviso, un refolo di vento più forte del normale s'alza dalla quiete, dal sonno in cui quel mondo a parte pareva essere immerso, e scuote le cime delle piante e muove le nuvole a velocità spaventosa. Si spezza l'incantesimo, il tempo corre rapido e recupera in un attimo il terreno perduto: cadono innumerevoli le foglie già gialle, marroni, rosse, deboli e secche, vorticano nell'aria tutte assieme, come in un'ultima folle festa, danzano, girano su sè stesse, dipingono il cielo azzurro dei colori dell'autunno e pare quasi che cadano direttamente da quelle nubi candide lassù, viaggiatrici instancabili, le quali spargono su ciò che rimane dell'amata terra le loro lacrime amare. Piovono foglie ed io le osservo ipnotizzato, ammiro le piroette gioiose che s'inventano, seguo i percorsi misteriosi, le vie invisibili che scelgono di imboccare prima di perdersi, di cadere, di morire al suolo, inutili e impotenti, braci spente di meteoriti primigenie che hanno attraversato spazi infiniti. Muore l'estate, nel più bello dei giorni d'autunno. E l'autunno è morte, ma nella sua fase iniziale, la fase dei ricordi belli e recenti, tanto che se ti sforzi riesci ancora a sentire il frinito delle cicale, il sapore zuccherino delle pesche, l'aroma piacevolmente aspro delle fragole più rosse. Infine cade di nuovo il vento, quel soffio malefico inatteso, torna la brezza lieve e indolore, la pace dei sensi. Ma tutto ormai è diverso, il cielo stesso è mutato, l'azzurro è più spento, le nuvole più grigie, il freddo in arrivo, così come la sera prematura, l'ombra lunga della notte più buia. Lo sento intorno a me, lo vedo nelle coppie che s'alzano e s'avviano in fretta verso casa, lungo il viale affollato; è l'ultimo atto dello spettacolo e il sipario sta calando, il pubblico s'infila i cappotti e lascia il teatro, i fari si spengono e gli attori se ne vanno a dormire. Adieu, tempi felici, giorni memorabili, donne dai vestiti leggeri e dalle gonne corte! Arriva l'autunno e torno a casa anch'io, infelice e solo, ma colmo di magnifici ricordi con cui potrò scaldarmi il cuore durante l'inverno che bussa già alla mia porta. Ho ancora i tuoi sorrisi con cui confortarmi. "Vedi di non dimenticarli", mi hai detto l'ultima volta che t'ho incontrata. Farò in modo di accontentarla, mademoiselle. Nonostante tutto.
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