Pubblicato il 10/03/2015 21:11:04
Non solo otto marzo. Gli occhi delle donne nei manifesti dell’otto marzo mi osservano e, come i miei, si specchiano Glass Ceiling (soffitto di cristallo). Osservando i manifesti pensati da sindacati cui non voglio fare pubblicità, non posso non fare mia la frase: “l’otto tutti i giorni”. Mi sono sentita chiamare in causa e ho inserito i miei, di occhi, nella foto del manifesto. Purtroppo è un dato di fatto che modelli, approcci e regimi professionali, culturali ed organizzativi rappresentino un insieme che opera con determinazione sul permanere della segregazione di tipo sessuale praticamente in tutti gli ambiti del sociale. Esiste ancora oggi una barriera che da un lato impedisce l’accesso e la permanenza femminile in settori considerati “tipicamente maschili”, mentre dall’altro non permette l’avvicinamento maschile ai settori “tradizionalmente femminili" (segregazione orizzontale), in barba ai timidi tentativi legislativi di contrasto. Lo stesso insieme genera sia il consolidamento del “soffitto di cristallo” che, in contesti organizzativi, il blocco dei percorsi di carriera femminili e in conseguenza relega le donne ai livelli medio bassi degli ambiti professionali (segregazione verticale), sia la successiva costruzione di “pareti di cristallo” che costituiscono aggiuntivi fattori di delimitazione della costituente femminile, la quale resta, in conseguenza di ciò, inevitabilmente ai margini dei centri di potere informali. Smantellare la divaricazione sessista del mercato del lavoro tra aree female intensive (come la cura e l’educazione) e aree male intensive (come i settori della tecnologia e della meccanica), si fissa in prospettiva anche nell’ottica di combattere la segregazione verticale. Lo smantellamento degli sbarramenti all’ammissione verso determinate aree produttive, non risolve però la problematica dello sviluppo dei percorsi di carriera, che, anzi in questi casi si accresce di un elemento aggiuntivo di difficoltà. La lotta alla segregazione verticale si deve realizzare con la creazione di modelli gestionali delle risorse umane capaci anche di avviare dispositivi di correzione dei regimi professionali attualmente esistenti, anche mediante la sperimentazione di nuove forme di organizzazione del lavoro e della valorizzazione di competenze, in grado di agire contemporaneamente nell’ambito della risorsa umana e dei vertici dell’organizzazione. La desegregazione orizzontale del mercato del lavoro deve essere affrontata attraverso interventi di promozione e incentivazione che operino verso il riequilibrio di genere nelle aree professionali, alcune delle quali vengono ritenute per tradizione poco aggredibili per la risorsa femminile e “poco appetibili” per la parte maschile; basti pensare come, nelle scuole, la parte femminile sia divenuta preponderante. Mi verrebbe fatto di pensare: “quando la nave affonda i topi scappano”, che mi perdonino gli uomini per il paragone. Questi squilibri di rappresentanza non sono riconducibili esclusivamente a gap di tipo intellettuale, perciò gli interventi mirano ad incoraggiare la percezione del diversity management, operando non soltanto sul versante dell’aggiornamento e dello sviluppo delle competenze, ma anche sulla percezione sociale e culturale di ruoli e professioni tipizzate nel tempo. La dimensione della conciliazione tra vita e lavoro necessariamente dovrà operare molto a lungo termine, nella prospettiva di un riequilibrio dei carichi di lavoro tra uomini e donne tale da sviluppare una genitorialità “inclusiva” capace di fornire pari opportunità a padri e madri sia dal punto di vista familiare sia in quella professionale, o in conseguenza del diritto ad una migliore qualità della vita per uomini e donne che lavorano. Gli interventi che prendono in esame il problema a livello di sistema debbono dotare in conseguenza il territorio di strutture di supporto e consulenza sul tema, della preparazione di figure professionali, interne ed esterne ai contesti organizzativi, con l’obbligo di assistere l’insieme d’utenti sugli argomenti della conciliazione vita-lavoro. Inoltre, tenendo presente che ci troviamo di fronte ad un tema capace di incidere decisamente sulla qualità della vita, appare necessario armonizzare i bisogni dell’utenza con l’elargizione di servizi di cittadinanza che siano in grado di intervenire nella definizione dei “tempi di vita e delle città”. Gli interventi che collegano la dimensione della conciliazione alla necessità di uscire dalla segregazione, debbono soprattutto lavorare in termini di riorganizzazione degli orari e delle modalità di lavoro e della dotazione di servizi (aziendali e non) di supporto alla genitorialità e alla cura dei bambini in tenera età. Occorre quindi porre attenzione all’approccio desegregazionista verticale e orizzontale e alla centralità della conciliazione, ridisegnando il perimetro dell’inclusione d’uomini e donne nell’ottica dell’uguaglianza totale. L’obiettivo di combattere la segregazione passa necessariamente attraverso la messa in atto di misure di conciliazione. Giacché la barriera segregativa più importante resta la disponibilità temporale richiesta dalle aziende. Richiesta di dilatabilità dei tempi di lavoro per le giovani donne qualificate e di massima frazionabilità per le giovani donne o per le donne, diciamo, scarsamente qualificate, presenti in tutti i settori dei servizi, che ovviamente no si conciliano con la vita familiare. Il problema della conciliazione interagisce quindi a monte, nella segregazione orizzontale, perché le donne lavorano in certi settori, soprattutto del terziario, perché sono strutturati sul part-time, di cui abbiamo trattato ampiamente in precedenza. Nei settori industriali, invece, agisce molto di più nella segregazione verticale, non tanto nell’accesso, (che costituisce comunque un problema), quanto nel percorso di carriera. Quindi noi dobbiamo tentare di mettere a fuoco un modello di sistema di conciliazione, che sia veramente complesso, che coinvolga, paese per paese, misure di Welfare nazionale, misure di Welfare regionale, imprese, ed individui, ossia molti attori sociali che devono entrare in sinergia. Il discorso è complesso e non basta, onestamente, festeggiarci come si fa con l’albero o sostenere di proteggerci, come per animali in via di estinzione. Ogni uomo dovrebbe ricordarsi che, ancora, per nascere ha bisogno dell’utero materno e possibilmente smetterla di offendere costantemente le mamme degli altri per offenderne i figli. Modificare lo stato dei fatti non è una operazione facile e neanche ottenibile in tempi brevi. Basta constatare che nel reparto giocattoli vi sia ancora e determinatamente una distinzione tra i “giochi da maschio e quelli da femmina”, per rendersi conto quanto la diversità sia conclamata a tutt’oggi nell’evidenza concreta anche in Europa e nei paesi ugualmente sviluppati sotto il profilo del sociale, pur ammettendo che, se guardiamo ai paesi Scandinavi, per molti versi possono essere considerati un esempio positivo nel generale contesto europeo. In breve, che sia l’otto marzo ogni giorno perché ogni giorno lottano le donne nel vivere quotidiano. Viene fatto di dire: Uomini, non fateci la festa. Bianca Fasano.
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