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La costellazione del piccione

di Pietro Menditto
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Pubblicato il 19/03/2012 08:43:18




Il piccione che ieri apriva le ali
riuscendo soltanto a strusciarle sul cotto

con uno sfregamento, un attrito di carta sul secco

da aquilone schiacciato da folate maligne,

rumore di stecco che dita segaligne

usano per incidere il vuoto in terra,

il piccione che picchiava sulle mattonelle

col becco…

 

Mentre penso che se fondata

è la reincarnazione siamo condannati

all’inattualità, salita la sudicia rampa

che porta alla sconfinata terrazza

di uno dei palazzi più grandi della città

lo vedo che sente ancora più prossima la fine.

 

Gonfio, il piumaggio variegato

dalla libertà sulle altane e nel basso cielo

sopra l’interdizione urbana,

col passo del gambero si ritira in un angolo

dietro l’ultima porta socchiusa

della gabbia delle scale quasi marcia.

Sente la morte come un mal di pancia

e strizza le palpebre, arretrando.

La vita lo sta lasciando come un maturo escremento

e la mia presenza lo disturba

mentre viene officiato

il rito mesto di un commiato senza fama.

 

Domani alla stessa ora lo troverò stecchito

come un ghiacciato guanto imbottito

che il ferro finale non è riuscito a stirare.

E’ una mattina qualunque, di un ottobre qualunque

che non potrebbe essere celebrato che nella

cabala vana di un soffiatore disperato.

Un piccione sta morendo perché il tempo

ha gridato più forte nel suo cuore, lo ha

allargato per fare posto al signore del ghiaccio

e io ne descrivo la morte con parole senza futuro,

con una pietà dubbiosa mentre una vespa,

una vespa scatta a destra e a sinistra

di fronte al muro sbiadito

precisa come il carrello

di una macchina da scrivere, cercando

chissà che e ogni tanto si blocca per un secondo

come se sul muro leggesse qualcosa di interessante,

se non parole finite una sapida sillaba

che merita una sosta o forse

la vespa con la punta sottile, invisibile

di un trapano disegna sul muro un alfabeto stellare,

una costellazione astrale mentre io so

che se le unissi con linee immaginarie

le stelle altere

null’altro avrebbero da raccontare

in un angolo celeste

che una fine insignificante,

la tacita ma universale decomposizione,

del povero principe di una solitaria terrazza.



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