Una donna non se ne accorge
se uno le mangia le mani senza pietà
perché il carnivoro
predilige la polpa
dove affondare la sua
sbavante cecità,
non la trasparenza della pelle
dove leggere la trama segreta
delle rotte del sangue, scorgere
il battito lieve di ammiccamenti
pulsanti e così ogni donna
le mani dimentica, ignora
le sue come tu adesso le tue
mentre le sto masticando
e ne faccio poltiglia
perché non riesco a dire
quello che vorrei dire
sulla lunghezza delle dita
un po’ ingrossate dal lavoro,
un po’ arrossate dai detersivi
e dalla vergogna di quello che hanno fatto
a uno più fortunato; sul quel po’ di nero
sotto le unghie che sono il lascito
d’un peccato; dita che battono
la pelle tesa del tamburo dei cuori
che hanno bruciato,
che hanno impastato nella placenta
bollente la sostanza confusa dei figli
e fatto e rifatto gli uomini
che ti hanno presa come conigli.
E a me invece prepari solo un caffè
con grazia veloce e consumata maestria
e nel mentre sono bagnate come il fradicio
desiderio di ogni volta che le ho sognate
perdendo la via.
Le mani che hanno l’odore del giorno
che le ha pregate di stringerlo
in vita per allungargliela e
dei luoghi segreti dove sono apparse veloci
come snelli, sotterranei animali,
sauri curiosi trotterellanti
in cunicoli che si affacciano nelle tane
occhiuti per una frazione di secondo
e poi scompaiono veloci come sono venuti.
Se si infilassero dove dico io quelle mani,
se una solo di loro afferrasse quella parte
di me da dove l’anima chiede di uscire
e prima piano e poi forte con carezze
e strette e pause sapienti e svogliatezze
maestre mi consolasse in un attimo
di una vita, diventerei lo zampillo
di me che schizza fino al cielo
con le tue dita che mi tengono in vita
ben stretta la vita.