[Recensione di Marzia Spinelli]
Arriva un momento nella vita in cui l’indicibile va detto. Emerge dalla memoria ed esplode come urgenza, morale e salvifica: è, forse, questo anche il senso della poesia che pur non salvando del tutto, permette tuttavia di portare alla luce una parte profonda e dolorosa del proprio vissuto, liberandola da un peso ormai insostenibile e che altrimenti sarebbe condannata al silenzio e quindi alla morte.
Cinzia Marulli, con questo suo ultimo toccante libro, ci mette a parte di un segreto appunto indicibile, tenuto dentro per lungo tempo, il segreto di un’infanzia violata che l’ha resa muta alla quale poi un giorno la vita e la poesia hanno ridato voce.
Sono versi condensati ed essenziali, in un confine labile tra lirico e sliricato, come è giusto che sia per poter dire tale orrore e dolore - e tale andamento ha un esito originale e autentico perché probabilmente esprime l’andamento emotivo dell’autrice, la quale non indulge ad autocompatimento, non tentenna, non si nasconde, ma riapre questa ferita con chiarezza, consapevole di una inderogabile necessità.
Il libro è suddiviso in tre sezioni temporali (Il Prima, L’Orco e la bambola, Il Dopo) precedute da un testo che ha funzione di breve proemio, introduce il fatto e coincide specularmente con il testo finale; a parlare in prima persona è la bambina divenuta bambola, non più persona ma un essere di gomma, inanimata, in balia dell’orrore subito. Ma già in questo testo incipitario la bambola mostra la sua speranza di tornare bambina, tornare persona e con estrema semplicità afferma: …quella bambola (ve lo racconterò) / ero io/ ma per poterne parlare/ha dovuto perdonare/ ha dovuto imparare ad amare//. Di notevole effetto ed espressività è l’uso alternato della prima e della terza persona, una sorta di sdoppiamento, ma di affermazione anche di se stessa: ero io la bambola… che ha dovuto imparare ad amare.
Le sezioni sono l’arco temporale di quel che è accaduto, ma anche di quel che era prima e poi dopo: Prima è il tempo felice e innocente, narrato con brevi prose poetiche, scandito da piccole e gioiose quotidianità: le feste di Natale, la domenica col vestitino buono, le scarpette rosse, i piedini felici, la festa, la messa, i giochi sul terrazzo. Poi l’Orco irrompe su questa innocente realtà e in pochi istanti il male/il male per sempre. I versi di questa sezione sono ancora più secchi e condensati, simili a rapidi fotogrammi che scorrono fulminanti, così come la breve prosa che sintetizza l’orrore subito.
Ma poi c’è un Dopo, quando la bambola si risveglia e torna bambina, torna viva al bacio di un bambino come lei e comincia la rinascita, il bianco velo della resurrezione.
Perché di resurrezione si tratta, di togliere le stigmate d’infanzia/sulla carta d’identità.
Risorgere vuol dire ingaggiare una lotta tremenda tra la vita e la morte:
Con la penna in mano/scavare tra le costole//un violino urla/lo sconcerto del vuoto//il dolore è una cosa solida/quando afferra/sono le mani a lasciare la presa//.
Ma alla fine, il male è indietro// la vita ha vinto sulla vita.
La bambola è tornata bambina per poter diventare donna, ha liberato quel dolore osceno; là dove guarda verso l’alto/guarda oltre/ nel registro della memoria/ conserva solo il bene//.
Il bene, sempre presente in questo libro, è l’arma di combattimento: per ritrovarsi, ritrovare l’innocenza e la purezza del corpo, dare voce al silenzio. E vivere.
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