L’ANIMA NERA D’ITALIA
«… la percezione che la morte non sia nulla,
che sia un accidente della vita,
una caccola rappresa nel naso,
è in principal modo dei criminali,
di coloro che privano gli altri dell’esistenza con serenità».
[Giuseppe Catozzella, Alveare]
Mi piace il cinema e un po’ lo conosco, senza la presunzione di esserne esperto. Così per me l’associazione è stata immediata. Signore e Signori, ho pensato, il bel film di Pietro Germi del 1965 potrebbe essere la falsariga di “E verrà un altro inverno” di Massimo Carlotto[1]. Il film di Germi era ambientato in un’imprecisata cittadina veneta; il romanzo di Carlotto ha come scenario una valle, una delle tante prealpine che preannunciano note e bazzicate località turistiche di montagna, una valle tranquilla e poco frequentata dalla marmaglia di ogni tipo.
Non serve il dove in entrambi i casi. Serve certamente il quando. E il quando, i nostri giorni, traduce la satira di costume in un hard boiled all’italiana. Gli investigatori, ammesso che si possa chiamarli tali, sono dei balordi; crimini efferati sono compiuti da cialtroni rosi dall’invidia e dal rancore. I delitti non hanno alcun senso.
Il microcosmo messo in vetrina è in realtà il macrocosmo della vasta provincia italiana, non tanto in senso geografico quanto in termini antropologici, quasi che l’autore abbia voluto rappresentare prototipi più che personaggi. I quali, tutti, sembrano marionette o, per adeguarci ai tempi, dei robot agiti da un diagramma di flusso che non lascia adito all’improvvisazione, all’imprevedibilità. Ne emerge il quadro di un’Italietta ben più e ben oltre la mediocrità; l’italiano medio vi appare, a tutti i livelli sociali, come un potenziale criminale vincolato ai dettami di un familismo amorale irredimibile e irredento. Tutto questo nel terzo millennio. Catozzella innestato su Germi, mi vien da dire con un buon margine di approssimazione. Localismo e familismo in felice connubio.
In siffatta cerchia la verità, ovviamente, non esiste, neppure quella giudiziaria, i soliti pregiudizi collettivi determinano il giudicato, i processi sono tenuti sulla pubblica piazza, le cui sentenze, ovviamente pilotate da dozzinali regie, sono inappellabili e inappellate. Il dibattito corrente sui temi della giustizia che vede apparentemente contrapposti giustizialismo e garantismo è in realtà farsesco perché serve contemporaneamente entrambe le cause, a seconda del momento e delle circostanze.
Siamo tutti prigionieri della “valle” e tutti convinti che i panni sporchi si lavino in famiglia. Così il povero imprenditore Bruno Manera (che presumibilmente si muove nell’ambito della legalità), per il semplice motivo di provenire dalla città, diventa, nell’opinione collettiva, uno che ha qualcosa di torbido da nascondere e viene estromesso dalla collettività prima ancora di essersi ambientato. Si vedrà come. La xenofobia è regola da non violare, a meno che non comporti vantaggi economici. Va bene che arrivino i romeni da sfruttare per le loro professionalità o i negri perché costano poco e puoi mandarli agevolmente via quando non servono più, non va bene la presenza dei “terroni”, salvo che non si tratti di rappresentanti delle istituzioni che abbiano sposato una valligiana, come nel caso del comandante della stazione dei carabinieri, il maresciallo capo Piscopo, l’opinionista ufficiale della comunità.
La pratica dell’endogamia produce ovviamente aberrazioni umane quali Michi e Robi Vardenega che, … Come i loro coetanei frequentavano i bar, giocavano a biliardo e partivano in comitiva per andare a scopare le nigeriane che battevano alla periferia della città … ; non è loro da meno la guardia giurata Manlio Giavazzi, sebbene inizialmente appaia più scaltro e dia l’impressione di condurre il gioco; costui è altrettanto sfigato quanto Stefano Clerici, consulente finanziario della filiale locale di una banca, comunque impiegato e dunque subalterno, oltre che scapolo ambito dalle zitellone del luogo, a meno che non sia un culattone come la voce comune non tarda a bollare gli scapoli impenitenti.
Non so spiegarmi perché Carlotto rappresenti alcuni personaggi, anche femminili, come dotati di un certo sex appeal. Io sono stato nella valle del romanzo e vi assicuro che i mostriciattoli dei film horror sono molto più carini. I valligiani non sanno che un po’ di sangue esotico migliora, e spesso di parecchio, la specie, anche in termini estetici. Pare che esogamia e genetica siano parole estranee al vocabolario valligiano.
Ovviamente i terroni sono tutti mafiosi; il che in parte è vero, ma molto in parte, credete! La circostanza mi fa porre un quesito inquietante: perché gli industriali della zona che sfruttano, inquinano ed evadono le imposte a man bassa si servono di un noto penalista romano per le grane in cui si impegolano? Non sarà costui uno dei famigerati colletti bianchi della mafia? Boh!
Mi sento di affermare che il libro di Carlotto denigri abbastanza ‘l giardin de lo ‘mperio perché mi ci metta anch’io. È decisamente aberrante la rappresentazione che ce ne offre, ben distante dall’idillio nel quale, per scarsa memoria o per quieto vivere, vogliamo credere. Abbiamo il sole, abbiamo il mare, abbiamo l’arte. Che pretendiamo di più? Il nostro è il migliore dei paesi possibili. Me ne convinco quando leggo i giornali, che spesso riferiscono con precisione maniacale ciò che accade nella valle di Carlotto. Qualche esempio.
Porto Cervo, luglio 2019: in una villa del luogo pare che una ragazza sia stata stuprata da quattro giovani rampolli della famiglia Pesenti. Si sono ripresi col pisellino da fuori per documentare la loro presunta bravata. La famiglia Pesenti, notoriamente giustizialista, invoca il garantismo. Pubblicamente e con un video commovente. Si sa che i maggiorenti adorano le telecamere. Come dite? Potrei essere stato io l’autore del presunto stupro? Suvvia, che vi salta in mente! Io mica ce l’ho la villa in Costa Smeralda. Tutt’al più potrei montare la mia tendina canadese sul Lido di Ostia. Poi verrebbe la polizia e mi denuncerebbe per occupazione di suolo pubblico. Meglio evitare. Le multe sono salate.
Dalmine (Bergamo), 2 gennaio 2021: Francesco Colleoni, 34 anni, ammazza suo padre, ex assessore provinciale leghista, nel cortile del ristorante che gestisce; mette tutto a soqquadro per simulare una rapina che non c’è mai stata. Voci immediate: sarà stato qualche immigrato della zona. Il maresciallo capo Piscopo ne è convinto.
Monteveglio, municipalità di Valsamoggia (Bologna), 27 giungo 2021: Chiara Gualzetti, una ragazzina di quindici anni, è uccisa a coltellate da un coetaneo, più o meno. Era un suo amico. Pare che l’assassino si sia lamentato della lenta morte della ragazza. Non è mica facile ammazzare qualcuno, così, senza un motivo apparente, giusto per divertirsi un poco. Pare che l’assassino sia un valligiano; qualcuno suppone che si tratti del fratello minore di Robi Vardenega.
Santa Maria Capua Vetere (Caserta), 6 aprile 2020: un nutrito gruppo di guardie carcerarie, inscenando una perquisizione straordinaria, infligge un violentissimo pestaggio ai detenuti del carcere locale. Hanno osato protestare, sia pure energicamente, per le scarse misure di protezione dal contagio da coronavirus. Gli esecutori materiali del pestaggio vengono tutti dalla nobile scuola di Robi Vardenega, anche se i mandanti potrebbero essere esponenti della famiglia Pesenti, la quale, per l’occasione, ha cessato di essere garantista ed è ritornata nell’alveo del giustizialismo. A insegnar loro a menar le mani è stato il manesco della valle, il solito maresciallo capo Piscopo.
Questi sono solo alcuni fatti recenti, probabilmente ancora presenti nella memoria dei lettori di questa nota. Tuttavia, occorre dire che la storia d’Italia è costellata di fatti analoghi se non peggiori di quelli qui ricordati. Che so, per esempio, i casi Lavorini, Braibanti, del Circeo, Emanuela Orlandi, del mostro di Firenze, Roberta Martucci, Yara Gambirasio e via discorrendo.
Ci vuole una bella fantasia per associare la cronaca “nera” d’Italia al recente romanzo di Massimo Carlotto. Qualche nostro sovranista afferma che lo scrittore padovano non alla cronaca italiana si ispiri, ma a quella locale di qualche oscura provincia russa, ungherese o polacca. L’Italia, appunto!
Bando alle cattiverie, non deve nutrire timori il lettore di Carlotto, la cui prosa è piana e godibile, a fronte di una trama avvincente e ben concepita. Insomma, per chi ama la lettura come svago, il romanzo è un eccellente passatempo, magari sotto l’ombrellone, nelle ore stanche delle lunghe giornate di vacanza balneare. I libri in sé sono innocui; la loro nocività alla pace dello spirito dipende dalla maniera in cui si leggono. I lettori maliziosi non sono tantissimi, credetemi!
[1] Massimo Carlotto, E verrà un altro inverno, Rizzoli 2021