Sapete?
Non c’è commozione nell’eternità della polvere.
E il suo sarcasmo smisurato, contegnoso
come ogni vendetta motivata solo da se stessa
si manifesta nel travaglio senza riposo con cui
va posando su tutte le cose il suo lutto invincibile
che è il martirio del nostro.
Abbi pietà! – direte – la sua è la pena di ogni
perìbasi, di ogni ciclo penoso che nell’asfissìa
del ricongiungimento va componendosi senza
requie. Non la apparenta forse ai migratori
quest’umile andare intorno in ogni dove?
ai nomadi che inseguono la sedentaria eternità
essendone inseguiti? Non si può essere così
severi con chi da sempre abnegante rinunciò
a farsi di sé un’immagine.
Se lo fece fu perché su ogni immagine potesse
posarsi e pesare l’attesa inutile, la polverosa
ansia noiosa.
Guardate, ora una festa esplode nella,
sulla sorpresa notte nuda, vergine matrigna
alla prostituta e l’invitata, la festeggiata,
anzi, è la polvere…
Non quella che eravamo, ancora essendo
e in cui ritorneremo ma colei che respiriamo,
deserto in diaspora di sontuose tracotanze
che sazia padrona si aggira tra le sue stanze
galattiche e, vedendoci, polvere ci chiama,
sontuosa giammai ma supponente, noi proci
all’eternità, noi fingendo persino commozione
con sul volto lei che la nostra vince perché
è lei la polvere unigenita.
Per lei si aprì il teatro
tra un firmamento
e un’aspersa folla muta.
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