Oggi in Italia da più parti si lamenta il fatto che i fondi europei restino largamente inutilizzati. Il fenomeno è variamente interpretato, ma, da un punto di vista squisitamente storico, esso vanta un’ illustre tradizione in Italia, a partire dai fondi che furono a suo tempo erogati all’Italia dal cosiddetto “Piano Marshall”. Questo piano, che costituì il più massiccio intervento di aiuti economici degli Stati Uniti in Europa, e naturalmente in Italia, fu però largamente disatteso dai governi italiani che si succedettero nell’immediato dopoguerra. Nel suo ampio e succoso studio sull’argomento, P. Savona sottolineava che
“La Francia aveva prelevato per intero i 1.132 milioni a disposizione, il Regno Unito 739 su 742. Ancora a metà del 1950 l’Italia aveva prelevato 80 milioni su 206,5 (mentre gli altri Paesi avevano prelevato la quasi totalità dei fondi disponibili)” (1).
Le argomentazioni “scientifiche” allora addotte a spiegare il fatto furono sostanzialmente legate alla considerazione che l’uso massiccio dei fondi del piano Marshall avrebbe innescato in Italia spinte inflazionistiche difficilmente controllabili.
“Il movimento inflazionistico, infatti, si accentuò soprattutto nei quindici mesi che vanno dal giugno 1946 al settembre 1947, sotto la spinta di [alcuni] fattori principali (…) [come] il continuo e crescente ricorso alla Banca d’Italia, conseguenza dei pesanti deficit del Bilancio dello Stato” (2).
Einaudi e i “liberisti classici” misero in atto questo tipo di politica economica contando anche sul fatto che la loro “egemonia economica” era indiscussa e indiscutibile nel campo degli studi economici, per cui “la loro superiorità intellettuale […] aveva ridicolizzato qualunque tentativo di teorizzazione dell’intervento dello Stato nell’economia” (3).
Per questa ragione, quando alcuni deputati in Parlamento ( ed anche lo stesso Marshall negli Stati Uniti) s’azzardarono a criticare la politica economica perseguita dal governo, il Ministro Pella, in nome dei “sacri principii liberisti” disse a chiare lettere che era letteralmente impossibile per chi era addentro alle “segrete cose” (dell’economia) non accorgersi che i fondi del Piano Marshall celavano esiti “larvatamente inflazionistici”:
“Pella, che aveva sostituito Einaudi (eletto alla Presidenza della Repubblica), dichiarò di respingere con energia suggerimenti e soluzioni LARVATAMENTE INFLAZIONISTICI” (4).
E con ciò la questione fu definitivamente chiusa.
Venendo ora ai tempi nostri, “mutatis mutandis”, registriamo lo stesso fenomeno in relazione ai cosiddetti “fondi strutturali europei”, anche se le interpretazioni addotte su di esso sono un po’ meno “scientifiche” e dottrinali. Per quanto riguarda i fondi europei “non spesi”, la spiegazione che, a mio parere, meglio rispetta il criterio di verosimiglianza, di logicità e di “non-partigianeria” ( e persino verificabile un po’ da tutti) è quella prospettata di recente da S. Gatto, il quale osserva:
“L’amministrazione centrale italiana e quelle regionali sono state in gran parte inefficienti e svogliate nell’usare a dovere i fondi europei destinati all’Italia, spesso non spesi. Il risultato di una mancanza di visione strategica nei confronti dell’Europa che è tipica italiana. L’Italia è un paese che fatica a sviluppare progetti collettivi, sempre sopravanzati da quelli particolari e personali. Il successo in Italia è individuale non di squadra” (5).
Il che, per onore di verità, è anche la posizione dell’attuale leader Renzi, il quale, più o meno, rispetto al tema in questione, esprime le medesime considerazioni nell’intervista con Alan Friedman:
“ Il vero dramma dell’Italia, osserva Renzi, è che questi fondi europei sono stati spesi per 707.000 progetti […] Cioè si fanno progetti di piccolo cabotaggio, 100.000 euro, 150.000 euro. Questo significa che il consenso politico cresce, perché l’assessore provinciale che distribuisce, o fa bandi di concorso su quei soldi, coltiva gli orticelli. Ma il Paese salta” (6).
L’impressione è che le argomentazioni addotte siano effettivamente prive dell’aura dottrinale che sapevano creare i nostri economisti alla Einaudi intorno all’argomento, ma che esse, tuttavia, non siano del tutto prive di fondamento, anzi!
Note
1) Cfr. P. Savona, “La stabilizzazione monetaria in Italia e il piano Marshall”, in “Il Piano Marshall e l’Europa”, a cura di E. Aga Rossi, Roma, Istituto dell’ Enciclopedia Italiana, 1983, p. 187.
2) P. Savona, p. 181.
3) P. Savona, p. 186.
4) P. Savona, p. 187.
5) Cfr. S. Gatto, “Italia e Spagna: destini paralleli?”, Lo Spazio della Politica, 2012, p. 75.
6) Cfr. A. Friedman, “Ammazziamo il Gattopardo”, Rizzoli, 2014.
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