Poetici segni
“I segni e la polvere” di Giorgio Bonacini è raccolta agile e intensa il cui equilibrio mostra una non comune saggezza poetica.
Il tono, asciutto e lineare, invita a percorrere con attenta sensibilità un cammino linguistico inedito (ma non del tutto ignoto: ci accorgiamo, così, di come talvolta frequentiamo luoghi con noncurante superficialità).
Pronunce quali
“Un uomo
e una donna
ora passano
indenni ma veri”
e
“Non è come incantare
coccinelle”
inducono ad empatica adesione all’immagine, alla parola.
Non mancano decisi tratti sorprendenti nel loro proporre al lettore zone idiomatiche inaspettate:
“Viviamo al di qua
di nessuno”
e
“farfalla che posa
[…]
per non dire
che è stanca
che ha una mania”.
Negli ultimi tre versi citati si avvertono echi da Adriano Spatola: echi altrove presenti in certe rime secche e ripetute.
Leggo poi a pagina 37:
“con l’aria che pare non sia
quella pagina in cui
come sai mi contengo”.
Occorre (anche) contenersi?
La poesia, che prima non c’era, viene costruita?
Sì, senza dubbio.
Più avanti, con onestà, Giorgio non si esime dal manifestare il proprio pensiero sulla sua umana condizione:
“In me
quasi riverso
puoi vedere il detenuto
non confesso
eppure reo
di tutto e niente”.
Pronuncia non priva di (implicita?) fiducia: il Nostro dice ciò che ha compreso e nel trasmettere simile comprensione in maniera poetica riesce, sul serio, a comunicare.
Comunicare la descrizione di un senso, la distinzione di un linguaggio finalmente soddisfacente, tale da promuovere migliori riflessioni.
Se vale la pena di continuare a riflettere, vale a maggior ragione la pena di continuare a esistere liberi,privi di condanne: d'altronde, in presenza dell’inesistente reato del “tutto e niente”, qualunque giudice assolverebbe il presunto colpevole.
È una colpa essere uomo?
No, no davvero e nemmeno lo è essere poeta.