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Tingo il cuore di cielo

Poesia

Genny Pugliese
Aletheia

Recensione di Anna Maria Vanalesti
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Pubblicato il 18/09/2020 12:00:00

 

In questa silloge di venticinque poesie, nuova di stampa e da un titolo così fresco e originale, l’autrice disegna una spirale avvolgente, che parte dal desiderio dell’amore e torna al desiderio dell’amore, attraversandolo in tutti i suoi vari aspetti: l’affetto per i cari, la nostalgia dell’amato perduto, la tenerezza per la natura e gli animali, l’intenso ricordo di un’amicizia, il rimpianto per chi non c’è più, ma le ha lasciato un bene prezioso da custodire. La poesia, come parola riincarnata nel sentimento e concentrata nelle immagini, diventa nutrimento costante, che s’accompagna alla memoria e alla ricerca mai esausta, di riportare indietro dal tempo e dal passato, tutto ciò che è stato vissuto con pienezza e che merita quindi di essere salvato. Frequente il ricorso a termini come cielo, nuvole, acqua, sole, profumo, a conferma che proprio dallo scenario naturale lei attinga il suo vocabolario e i suoi colori, assetata di chiarezza e di luce, così come è assetata di corrispondenza di sensi. L’animo non arretra di fronte al dramma della morte e alle difficoltà dell’esistenza, ne prende coscienza e fa forza su di sé per andare avanti, per continuare il tragitto, malgrado le perdite e le delusioni, intuendo che al di là di tutto c’è una ratio impossibile da comprendere ma che trascende le tragedie della vita e rende quest’ultima degna di essere percorsa fino in fondo, con responsabilità. Lo sguardo si perde verso l’orizzonte, dove si compie il bacio eterno tra mare e cielo, il cuore si tinge di cielo, perché volutamente il poeta apre la sua disponibiltà alla speranza, le paure vengono polverizzate, la persona amata che è andata via, si ritrova nella voce di un bambino, o nella pioggia che irrora il terreno, non sulla gelida lapide, mentre si compie perfettamente la restituzione dell’assente al presente, grazie al “salva con nome” che solo la poesia può realizzare. Le parole, dunque, e i verbi in particolare, diventano parole chiavi, strumenti che creano campi semantici intorno all’amore. Il peso della sofferenza si smaterializza, diventa leggero, gli stracci di stoffa si trasformano in candida seta, la distanza incolmabile viene superata, l’ardore spentosi nell’ira, si placa, l’abbandono viene perdonato, il rancore è dimenticato. Ed è questa la cifra etica della Pugliese, la capacità di guardare agli altri e al prossimo ancora con pietas, nonostante il male ricevuto. E qui le soccorre il suo fedele amico cane, che ha la capacità di esprimere con la coda e con il movimento dei fianchi, la gioia che prova nello stare con la gente, o quando avverte rabbia e tenerezza. Nessuno ha la devozione che può avere un tale amico. La penna è il mezzo per i poeti per rappresentare i propri sentimenti, gli umori, le sensazioni, quasi una carezza da rimandare alle anime. Nella circolarità che lo contraddistingue, il libro si offre come un medicamentum per l’infelicità, un’erba medica quasi, che attenua, lenisce, conforta le ferite e impedisce loro di diventare piaghe. Per essere inoltre un’opera prima di poesia, rivela da parte dell’autrice un sapiente e sensibile utilizzo del linguaggio e della metrica: è stato scelto il metro libero, ma c’è un controllo rigoroso dell’armonia e della quantità in ogni singolo verso; spesso è adoperata la quartina che qualche volta, in combinazione con la terzina, genera lo schema del sonetto. Ogni lirica freme comunque di ansia di bellezza e di affetto, vibra di una tensione interiore verso il bene e si propone come sintesi di un pensiero poetante che non dà nulla per scontato, ma chiede in cambio una partecipazione autentica. 

 


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