Già discorrendo intorno a Machiavelli, s’era introdotto il tema della “crisi” d’Italia degli inizi del Cinquecento; un paese, dicevamo, parcellizzato e in completa balia delle forze straniere. Facciamo un passo indietro, e portiamoci verso la fine del Quattrocento, epoca in cui accaddero eventi che dimostrano due cose: l’estrema litigiosità degli stati italiani e la loro incombente e conseguente debolezza di fronte ai pericoli esterni, costituiti non soltanto dalle potenze europee, ma anche dai Turchi, che nel 1486 misero a ferro e fuoco Otranto, senza che nessuno si rendesse effettivamente conto della gravità del fatto. Ma non è tanto sui Turchi che soffermeremo la nostra attenzione, quanto su alcuni eventi interni, che provocarono il progressivo indebolimento di alcuni importanti stati italiani, come la Toscana, per esempio, che fu teatro della celeberrima “Congiura dei Pazzi”.
Nella congiura dei Pazzi, consumata in Santa Croce a Firenze, nel corso di una messa, perse la vita Giuliano dei Medici, malato e incapace di offrire un’adeguata resistenza, mentre Lorenzo riuscì a cavarsela, scatenando poi contro i Pazzi e i loro alleati una delle vendette più selvagge che la storia italiana ricordi (degna delle furie di Cesare Borgia). Alcuni storici, come A. Fabronio, ci hanno lasciato testimonianza dell’efferatezza dei supplizi inflitti da Lorenzo dei Medici ai suoi malcapitati avversari: alcuni “furono tagliati a pezzi”, un altro fu squartato, e la sua testa mozzata fu trascinata per tutta la città (“per tutto Firenze”); e infine i loro corpi furono “sotterrati nel carnajo di San Pietro Scheraggio” (1). Al di là degli eventi cruenti che interessarono direttamente la congiura, di cui abbiamo ampia testimonianza anche da parte di illustri contemporanei (2), sarà piuttosto interessante comprendere sia i riflessi politici che la congiura dei Pazzi ebbe sull’Italia sia le ragioni di fondo che portarono la famiglia dei Pazzi a ordire quella fatale congiura.
I Pazzi, in fondo, furono soltanto l’ultimo anello della catena. A monte c’erano le tensioni espansionistiche sia del re di Napoli, Ferdinando, sia di Papa Sisto IV, i quali vedevano nel forte stato mediceo un ostacolo da abbattere a tutti i costi, in vista di un possibile allargamento dei loro rispettivi domini, che guardavano verso il centro Italia (Romagna). La Famiglia dei Pazzi s’inserisce in questo quadro perché, a Firenze, essi erano gli esponenti di spicco del ricco ceto borghese, aperto agli scambi commerciali con tutti gli stati italiani, fortemente legati per tradizione alle antiche “libertà comunali”, mentre i Medici erano essenzialmente banchieri, interessati oltremodo alle transazioni finanziarie e, per così dire, “protettori” del popolo, a cui elargivano feste e sussidi, ma che in realtà erano espressione di un’oligarchia ristretta, poco disponibile a spartire il potere con chicchessia.
Fu il popolo il vero “difensore” di Lorenzo dei Medici e del suo potere pressoché assoluto su Firenze, e i Pazzi non trovarono in città un solo sostenitore. Machiavelli, dall’alto della sua disincantata e lungimirante visione della “realtà effettuale”, scrisse con spietata ironia: “Messer Jacopo ancor che vecchio […] salì a cavallo e se ne andò alla piazza del Palagio chiamando in suo aiuto il popolo e la libertà. Ma perché [=poiché] l’uno (popolo) era della fortuna e liberalità de’ Medici fatto sordo e l’altra (libertà) in Firenze non era cognosciuta, non gli fu risposto da alcuno”[ “Messer Jacopo , nonostante l’età avanzata, salì a cavallo e si diresse verso il Palazzo, chiamando in suo aiuto il popolo. Ma poiché l’uno (il popolo) era sordo a tutti i richiami per via della liberalità dei Medici e l’altra (la libertà) era del tutto sconosciuta a Firenze, nessuno gli rispose”] (3).
Così, con la congiura dei Pazzi e la vittoria dei Medici furono perdute “due libertà”: quella del popolo di Firenze, che fu, dopo quel tragico evento, in completa balia dei Medici e di Lorenzo ( che diventa “quasi signore della città […][mentre] el popolo e lo universale ne rimane schiavo” (Guicciardini)]; e quella d’Italia, perché gli stati più potenti della penisola si dissanguarono in lotte fratricide, aprendo così la strada alle conquiste straniere. E così, concluse Guicciardini, “E questo è il fine delle divisione e discordie civili: lo sterminio di una parte; il capo dell'altra diventa signore della città; e i fautori e i suoi aderenti , di compagni quasi sudditi; il popolo e lo universale ne rimane schiavo” (4).
Note
1) A. Fabronio, “Laurentii Medicis magnifici vita”, Pisa, 1784, Vol. I, pp. 108-109, nota 79.
2) Un testimone d’eccezione della congiura dei Pazzi fu il grande scrittore e letterato A. Poliziano, autore della “Coniurationis Commentarium. Commentario della congiura dei Pazzi”, a c. di L. Perini, Firenze University Press, 2012.
3) Il passo di Machiavelli è riportato da L. Perini, p. 61. Comunque il passo è leggibile nelle “Istorie Fiorentine”. La citazione è tratta da “Opere di Niccolò Machiavelli: ‘Istorie fiorentine’ e altre opere … ”, a cura di A. Montevecchi, Torino, 1986, p. 708).
4) F. Guicciardini, “Storie Fiorentine”, Bari, Laterza, 1958, p. 38.
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