Parole non cancellate
“Cronache di estinzioni”, di Lucetta Frisa, è coerente raccolta di versi in cui un diffuso presagio di definitiva catastrofe viene proposto con precisa assiduità (non priva, come suggerisce Elio Grasso nella sua prefazione, di accenti intrepidi e impeccabili).
Guerre, atti terroristici, scioglimenti di calotte polari e di ghiacciai, inquinamenti di vario genere, costituiscono la tragica scena in cui si svolge l’umana esistenza in questo primo scorcio di terzo millennio.
La poetessa ne prende atto:
“L’Antartico si scioglie, i suoi ghiacci
non sono più Antartide perché si frantumano
poi si tuffano in mare
diventano un’unica acqua. […]”
e
“Prima che la plastica invadesse il mondo
fino agli iceberg e alle barriere coralline
qualcuno aveva previsto la catastrofe”.
Se
“Non protetti si muore ma si muore anche protetti:
le convinzioni e le convenzioni
saltano in aria e noi assieme a loro”
attendere l’ineluttabile è l’unica possibilità?
A questo punto, ha senso scrivere versi?
Domanda che, credo, poeti di ogni epoca, gettando lo sguardo sul mondo (forse non così inquinato, ma non privo d’ingiustizia e di crudeltà), si sono posti in maniera più o meno esplicita.
Occorre tenere conto di un non incerto dato.
Le donne e gli uomini nonostante tutto (si pensi agli orrori di due guerre mondiali) hanno, almeno fino ad oggi, continuato a vivere e a mostrare in molti casi capacità di ripresa: nessuno può dire se tali capacità continueranno a dare i loro auspicabili frutti, tuttavia l’esistenza continua.
È poi così vero che
“Si è vivi solo una volta
sorpresi solo una volta
[…]
Poi c’è più poco”?
Così, muovendomi, come Mauro Macario (vedi postfazione), al tenue chiarore di un lume, sono andato alla ricerca d’indizi, se non di fiducia, almeno di speranza.
Qualcosa ho trovato.
Nonostante tutto, infatti
“Ad ogni cambio di stagione
la coda di una piccola lucertola
si insinua tra le fessure dell’imposta
puntualmente al mutamento della luce”
e
“Le parole ad una ad una escono alla luce, prendono corpo
sfavillano. Legano te a me.
Se le cancello
rientrano nel buio”.
La puntualità di un piccolo rettile e il comunicativo sfavillare di non cancellate parole (ma anche altro) saranno in grado di salvarci?