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Verso Sant’Elena

Romanzo

Roberto Pazzi
Bompiani

Recensione di Maurizio Soldini
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Pubblicato il 29/03/2019 12:00:00

 

Verso Sant’Elena” di Roberto Pazzi è un romanzo davvero singolare nella sua capacità di coinvolgimento non solo e non tanto per la trama, che pure fa sì che ci si senta immersi nella storia narrata con quella passione e quella perizia di un narratore provetto e di un poeta navigato quale egli è, e che pertanto rende la lettura piacevole, ma per un insieme di altre considerazioni. Dal punto di vista stilistico si ravvisa sin dall’inizio una acribia linguistica, che mette in evidenza una scrittura assai curata, senza cadute di stile e con un eloquio che vola piuttosto alto con un vezzo particolare di ricercatezza. Pur tuttavia sembra di ascoltare un linguaggio della quotidianità vista la netta imbastitura di leggerezza che accompagna l’intera narrazione, sì da rendere piacevole, come dicevo, la lettura. La struttura del romanzo per capitoli che di volta in volta chiamano in causa i diversi personaggi storici e soprattutto quelli più familiari a Napoleone, rende palese la volontà dell’innesto della storia nella Storia e questo vuole rendere giustizia all’uomo, a quell’uomo, con le sue fragilità che lo determinano, piuttosto che al condottiero all’eroe all’imperatore con tutte le sue sovrastrutture che pertengono più alla Storia che alla storia alla narrazione alla letteratura. Il romanzare alcuni scampoli del viaggio di Napoleone per arrivare all’isola di Sant’Elena, scopo precipuo del romanzo, ci mettono nella condizione di entrare nel core della fenomenologia esistenziale del corso e di guardarlo in relazione ai suoi cari ai suoi amici e ai suoi nemici. Ma l’invenzione di implementare la realtà con la dimensione onirica fa del romanzo il tentativo di andare oltre la dimensione empirica per adire a quella metafisica. Nel dormiveglia il pensiero entra nel sonno e qui abitano i sogni dove Napoleone rivede sprazzi del suo passato rivede la madre le mogli le loro gelosie i figli i loro giochi i suoi desideri quelli esauditi e quelli svaniti, ma sogna anche una realtà presente nell’assenza e qui il colpo di teatro è l’entrata in scena del momento virtuale col personaggio di Eugénie, protagonista del romanzo giovanile del corso quando aveva una qualche velleità letteraria. Virtuale fino a un certo punto però, perché si ha la sensazione che questo virtuale sia più reale del reale stesso. Insomma dove sta la verità alla fine? La verità è il sogno in quanto il sogno aderisce a una realtà non dimidiata. Quella realtà sognante e sognata ma ben integrata nella realtà presente e passata in prospettiva futura che aiuta Napoleone a desistere dal suicidio e a vivere continuare a vivere. Epperò vivere, in parte, nei sogni e di quei sogni che lo aiutano a dimenticare in primis la penosità che gli provoca il pensiero dell’arrivo nell’isoletta che lo farà esule.
Romanzo realista indubbiamente “Verso Sant’Elena”. Ma di quel realismo integrale che non disdegna di embricare al fisico all’empirico al fattuale il metafisico.
Una piccola mia sensazione tutta personale. Non penso che in questo romanzo prevalga la psicologia, così come non penso sia stata intenzione dell’Autore farla prevalere. Prevale invece la considerazione della vita come totalità somato-psichica-spirituale là dove prevale la dimensione spirituale dell’essere umano che anela sempre e comunque, mutatis mutandis, alla sua libertà.
E la cifra del romanzo, a mio modo di vedere, sta tutto nella volontà di uno scavo appunto non psicologico bensì fenomenologico di una realtà personale, sia di Napoleone sia degli altri personaggi, che voglia mettere in evidenza la primazia della vita e della sua complessità, spesso sfuggente, nel bene e nel male. Vita intesa nella sua complessità, appunto, dove anche la letteratura ha un ruolo di integrazione esistenziale. Non per niente è forte il richiamo a Napoleone narratore là dove nel romanzo in questione emergono tratti autobiografici del giovane Buonaparte che nella narrazione della narrazione donano senso al tutto.
Un gran bel romanzo, che tra le righe offre molte metafore del nostro vivere e del nostro morire.
Come ultima notazione, prima di concludere, è utile ricordare che questo romanzo è stato scritto da un narratore che fondamentalmente è poeta, con un’anima poetica, che si radica in una formazione sbocciata nella frequentazione e nell’amicizia con uno dei maggiori poeti del Novecento, Vittorio Sereni, che non per niente fece fruttificare la sua formazione filosofica soprattutto fenomenologica nella letteratura e nella fattispecie in poesia. E Pazzi può essere considerato un allievo di Sereni. Questo a spiegazione anche di quanto affermato più sopra.


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