“AVVERSO IL NOME” E LUCIANO DI SAMOSATA
Uscirà prossimamente per i tipi LietoColle un libriccino assai singolare. Per quello che finora se ne conosce, attraverso la navigazione nel web, si tratta di un’antologia di poesia anonima dal titolo assai eloquente: “Avverso il nome”. Chi, come l’Editore Camelliti, ritiene che il nome degli autori possa essere solo “una buccia inutile, secondaria, rispetto alla loro poesia” non poteva scegliere titolo migliore. Sempre nel web già si possono leggere alcuni di questi testi poetici anonimi e anche diversi commenti, spesso assai dubbiosi, su questa certo inconsueta iniziativa editoriale. Tutto ciò è stato sufficiente per incuriosirmi. Credo che acquisterò l’antologia per una maggiore, diretta conoscenza. Ma intanto, mentre preventivamente mi informavo e leggevo, non so per quale misterioso circuito della mente, questo “Avverso il nome - Antologia di poesia anonima” mi ha fatto ripensare alla risaputa “questione omerica” e in particolare a questo ironico passo di Luciano di Samosata (II secolo d. C.) che immagina di incontrare il grande Omero nell’Isola dei beati. Ripropongo questo attualissimo brano nella bella traduzione di Maurizia Matteuzzi:
“Non erano passati due o tre giorni che, avvicinandomi al poeta Omero – né lui né io avevamo niente da fare – cominciai a tempestarlo di domande: in primis, di dove fosse originario; gli spiegai che si trattava di una questione su cui, da noi, stavano ancora compiendo ricerche su ricerche. Neppure lui ignorava - mi rispose allora – che certuni lo ritenevano di Chio, altri di Smirne, i più di Colofone: era babilonese, invece; dai suoi concittadini non veniva chiamato Omero, ma Tigrane: in seguito, inviato in Grecia come ostaggio, si era cambiato il nome. Gli chiesi, poi, se avesse scritto veramente lui certi versi da espungere, e mi confermò che erano tutti autentici; per cui condannai come davvero eccessiva la pedanteria di Zenodoto e di Aristarco e dei filologi loro seguaci. Soddisfatto delle risposte avute sull’argomento, gli domandai ancora perché mai avesse cominciato l’Iliade dall’“ira” di Achille: mi disse che gli era venuto in mente così, non l’aveva studiato a bella posta. Morivo, inoltre, dalla voglia di sapere se avesse scritto prima l’Odissea dell’Iliade, come i più ritengono: e lo negò. Che, poi, non era nemmeno cieco – altra voce che circola sul suo conto – me ne sono accorto subito: ci vedeva, e così non ho avuto neppure bisogno di chiederglielo. Molte altre volte ci siamo intrattenuti a conversare, quando mi capitava di vederlo libero da impegni; mi avvicinavo, rivolgendogli qualche domanda, e lui appagava volentieri ogni mia curiosità, specialmente dopo aver avuto la meglio nel processo: infatti, Tersite aveva sporto contro di lui una querela per oltraggio, per la maniera in cui lo aveva schernito nel suo poema e Omero vinse la causa con il patrocinio, per la difesa, di Ulisse”
A me pare infatti che il “piccolo editore” Michelangelo Camelliti continui in età moderna l’antica, spesso solitaria o intrapresa in assai piccola compagnia, battaglia contro le vanità letterarie, le “eccessive pedanterie” dei critici, l’attenzione a tutto ciò che è di contorno, ma non è la poesia. Eppure, come ci dice la sferzante metafora di Luciano, “Omero vinse la causa”. Se davvero in questo libro c’è della poesia, come anche dai pochi frammenti che ho potuto leggere mi pare che sia, allora la causa sarà vinta. E anche senza il patrocinio di Ulisse.
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