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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Senza vera regola, Sparire … apparire

Poesia

Roberto Capuzzo - Carlo Guarienti
Gli Ori - RC Edizioni d’Arte

Recensione di Marco Furia
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Pubblicato il 28/12/2018 12:00:00

 

La parte è anche il tutto

 

Appare davvero preziosa la raccolta di versi e d’immagini opera, rispettivamente, di Roberto Capuzzo e di Carlo Guarienti, recante il doppio titolo “Senza vera regola” (Capuzzo) e”Sparire … apparire” (Guarienti): una raccolta la cui evocativa raffinatezza induce a riflettere, a pensare.

Mi riferirò, in questa breve nota, alle due pagine 76 e 77, che giudico rappresentative, in cui a una poesia segue un’immagine, eccola:

 

 

I primi cinque versi della poesia

 

Violagiallo il colore

sgranato per punti

sulla costa.

 

Da lontano lo stesso luogo

è macchia, oltre ancora, volto.

 

con le loro precise pronunce conducono il lettore verso regioni poetiche in cui l’aspetto cromatico e quello fisionomico paiono tendere a coincidere, diversificandosi soltanto dal punto di vista, più o meno “lontano”, da cui vengono osservati.

Vedere è fenomeno ottico, senza dubbio, ma è anche far parte di certi significativi contesti iconici: non siamo quello che vediamo, tuttavia lo siamo anche.

Con gli ultimi sei versi

 

Nascosto nella sabbia

hanno sguardo gli occhi

la mano sospesa

del corpo divenuto crosta.

 

Dello stare rovente fino al mare

la traccia è impercettibile.

 

il poeta introduce, tra l’altro, una “mano sospesa, un “corpo divenuto crosta” e una “traccia” “impercettibile”: l’atto dell’osservare, qui, sembra quasi riflettersi in uno specchio idiomatico al fine di ottenere ragguagli sulla sua stessa natura.

Le uniche risposte possibili risultano essere queste ben scandite cadenze che paiono aprirsi su scenari dai molteplici significati: gli oggetti della nostra osservazione sono poi così oggettivi?

Capuzzo aderisce al mondo manifestando un’appassionata, consapevole, partecipazione che per lui è già poesia: rendere testimonianza di ciò per via di parole è suo precipuo compito.

 

A pagina 77 è ritratta una mano (su cui è impressa una scrittura in bella calligrafia) che prende o posa uno strumento appuntito: tutt’intorno uno sfondo tra il grigio e il blu, “sgranato per punti”.

Polso, dorso e dita emergono e l’utensile non poggia (o non viene appoggiato) su alcun piano: un vero enigma.

L’impressa scrittura, poi, non fa che rendere ancora più intenso il mistero di questo fisionomico apparire.

Inutile chiedersi se l’immagine illustra la poesia o viceversa: quei versi e quei segni grafici sono intimamente congiunti pur non fondendosi gli uni negli altri.

Quanto linguaggio è contenuto in queste due pagine?

Quello che è possibile, ma anche molto altro, poiché esse sono rivolte a lettori-osservatori.

Tutto, alla fine, riguarda noi, il nostro naturale desiderio di accettare e modificare il modo di esistere.

L’uomo nella sua interezza è richiamato da pronunce che mai lo nominano e da un’immagine che ne rappresenta unicamente una parte: i frammenti sono proprio soltanto tali?

L’arte del frammento non è facile da praticare (poiché implica l’assidua coscienza di un’integrità nella cui mancanza il particolare stesso non potrebbe esistere): mi pare che Roberto e Carlo siano riusciti a darne un valido esempio.

 


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