L’universo femminile ha una sua personale dimensione poetica, alla quale la parte maschile dell’umanità sembra non poter partecipare, se non di riflesso. Quando una donna riesce a stabilire il misterioso contatto con la propria Musa – per formazione, per capacità ascetica, per cultura, per volontà, per destino, eccetera –, accade qualcosa di simile a una fecondazione e a un parto, silenzioso e non necessariamente doloroso: in modo naturale la donna è predisposta alla poesia, le nasce dall’interno, come se ella stessa si trasfigurasse nella Musa, laddove, invece, l’uomo deve avviare un processo macchinoso di inseminazione e attesa del “nascituro”, la poesia, che arriva, dunque, per intermediazione, dall’esterno.
Leggendo la raccolta di Annamaria Ferramosca si partecipa, in modo eccelso, alla dimensione poetica femminile, ma la poesia che ne scaturisce, come per ogni parto il nascituro, diventa un soggetto reale facente parte dell’universo condiviso da tutta l’umanità – soggetto bello oltremisura, indipendente dalla madre.
L’arte poetica di “Andare per salti” dà piena soddisfazione al lettore voglioso di verità – ad essa non si può non aderire con anima e corpo –, è fisica e biologica, è insufflata di alito scientifico ma, al contempo, è imbastita da un fil rouge di misticismo; di più, siamo di fronte a un’arte poetica che porta in sé i semi della tradizione, ha radici nel classicismo. Per la sua forte aderenza a una sorta di naturalismo (molti sono i rimandi alla natura) prende forma, attraverso di essa, la dimensione del mito, è come se tutto il meglio dell’antichità classica si ravvivasse e riprendesse vigore nel nostro tempo ma usufruendo di parole e concetti moderni: il classico si incarna e manifesta in un linguaggio tendenzialmente scientifico. Pertanto, lo ribadisco, trovo, in questa raccolta, a mio avviso, una simbiosi perfetta tra classicismo, modernità e contemporaneità.
La poesia che qui si legge non tralascia mai di stupire a ogni verso, non c’è nulla di lasciato al caso o al cattivo effetto della ricercatezza fine a sé stessa o, peggio ancora, di parole banali, ma tutto è perfettamente calibrato e in equilibrio. L’autrice, come una sarta esperta, sa intessere finemente un abito che, quasi magicamente, si adatta alla corporatura poetica di ogni lettore, sicuramente di ogni lettore raffinato. Mi capita raramente di essere felice durante la lettura di un libro di poesia, è questo il caso, ma la mia è una felicità i cui sinonimi sono gratificazione e piacere: gratificazione per l’intelligenza; piacere per l’anima.
Queste poesie sono il frutto di una mente pensante e ispirata ma che non prende l’ispirazione e, brutalmente, la spiattella sul foglio, invece la demodula filtrando la portante ad alta frequenza e traendo, per il lettore, il solo messaggio modulante, che è poi il vero lavoro del poeta, captare e demodulare – volendolo pensare come se fosse un apparecchio ricevente segnali elettromagnetici dall’etere della dimensione poetica.
Annamaria Ferramosca si conferma, a pieno titolo, con questa sua raccolta – distillata dall’esperienza e da anni di scrittura, lettura e confronto a ogni livello –, appartenente alla parva acies dei poeti italiani di più alto livello (che non è equivalente a notorietà), cioè coloro che hanno conquistato l’appellativo di poeta come artigiani che dopo anni di mestiere raggiungono la libertà della perfezione nell’uso delle mani e degli strumenti del mestiere. La cosa interessante è che la Ferramosca non ha alle spalle le grandi case editrici ma editori di media statura, se non addirittura piccoli; la raccolta “Andare per salti”, ad esempio, è stata pubblicata perché vincitrice del Premio Arcipelago Itaca, ma è una poesia che potevamo tranquillamente trovare sugli scaffali della Bianca Einaudi o dello Specchio Mondadori e mi stupisce il fatto di non leggerla in quelle collane. In ogni caso si trova in buona compagnia, con molti altri poeti misteriosamente esclusi dalle grandi case editrici, mi sovviene, ad esempio, la poesia di Mariella Bettarini, anch’essa esclusa – forse volutamente da lei stessa, in ogni caso per me misteriosamente –, dai giochi commerciali dei grandi editori. Non cito a caso la Bettarini, infatti tra le scritture delle due poetesse trovo importanti punti di contatto, in parte nella forma del versificare, in parte nella capacità, magistrale, di utilizzare e giocare con le parole, soprattutto nell’uso delle loro assonanze e dei loro significati all’interno dei versi; ma trovo somiglianza, anche e soprattutto, nel fatto di essere donne emendate dall’insana sudditanza verso il mondo maschilista che spesso, anche in poesia, fa scempio della sensibilità femminile; esse, piuttosto, accolgono il miglior universo maschile e lo arricchiscono. Ricordo i numerosi incontri avuti con Mariella Bettarini, durante i quali la poesia prendeva forma sotto i miei occhi. Questo secolo sarà ricordato per la poesia al femminile.
“Andare per salti” è prefato da Caterina Davinio, è dedicato a Nicole, ha un esergo di Milo De Angelis ed è suddiviso in tre abili sezioni: “Per salti”, “Per tumulti” e “Per spazi inaccessibili”. Se dovessi riportare, qui di seguito, ogni poesia che mi ha colpito, dovrei ledere i diritti d’autore e trascrivere tutta la raccolta, cosa che ovviamente non faccio e invito invece ad acquistare il libro, è possibile farlo online. Tuttavia ho voglia di segnalare qui, a conclusione, due poesie che inconsciamente mi sono rimaste attaccate: “un fiume di latte corre nella mia notte” (pag. 40), con il bellissimo esergo tratto da una lettera di Marina Cvetaeva a Rilke (“Caro, lo so, tu mi stai leggendo / prima ancora che io scriva.”): “[…] // un fiume che cola albume sulle labbra / e nutre ogni altra bocca in terra / e ridepiange a ogni crescita // così l’osmosi in terra / inarrestabile destinoamore / che lega l’erba alle mandibole del verme / la vena d’acqua al sangue // […]”. E un’altra bellissima poesia sulla poesia e le sue parole necessarie come pioggia: “sembra che cadano dall’alto le parole” (pag. 45): “[…] // hanno esili braccia come leve di luce / a sollevare la grave pietra umana / non vanno per salti loro ma / per larghissimi voli / sulla nostra laguna sconsolata / a intercettare il centro innocente / la forma fetale del cuore // è vero è un pulviscolo di parole / che invade l’universo lo informa lo plasma / se ti metti in ascolto puoi avvertire / le onde d’urto nel bosco / il colpo secco dalla corteccia / il tuffo della rana di Basho / un chiamarsi tra loro – pianissimo – delle cose // e quella nostra stramba contentezza / nell’ascoltare […]”.
*
Leggi alcune poesie proposte nella sezione Poesia della settimana:
www.larecherche.it/testo_poesia_settimanale.asp?Id=465&Tabella=Poesia_settimanale