Pubblicato il 20/06/2013 16:32:43
“Molte sono le cose meravigliose, ma nessuna è più mirabile dell’uomo” Sono andata a Siracusa, dopo alcuni anni, con lo stesso stato d’animo di chi va a fare un pellegrinaggio religioso o di chi torna ai cari luoghi del passato, alla sacralità delle origini: mi sono immersa nella sorgente prima della cultura occidentale, per ritrovare le radici, il mondo esistenziale ed umano dei nostri padri greci. Qui, insieme a questi, ho ritrovato anche la mia identità religiosa, la mia fede nell’uomo vero, appassionato, che vive i suoi affetti, pronto a pagare anche costi altissimi per essi. “Molte sono le cose meravigliose, ma nessuna è più mirabile dell’uomo”: così esordisce il coro nel primo stasimo dell’Antigone di Sofocle, esaltando già, prima di conoscere lo sviluppo degli eventi, la grandezza e la straordinarietà dell’uomo (deinos), per il suo ingegno, l’abilità, il pensiero e la conoscenza del bene e del male. Esempio di questa realtà è proprio l’eroina dell’omonima tragedia che, nel secondo episodio, dirà: “Certamente io non sono nata per odiare, ma per amare”, rispondendo a Creonte che l’accusa di avere disobbedito ai suoi ordini, seppellendo il fratello Polinice, ottemperando invece al suo dovere di sorella, nel rispetto della propria coscienza morale. Come si può resistere al fascino e all’attrattiva della tragedia greca? Tragedia antica e moderna, sempre attuale e per questo universale, espressione del contesto storico-culturale greco, ma perfettamente ascrivibile a qualsiasi tempo e luogo. Tragedia universale. L’Antigone e l’Edipo re sono sicuramente le più belle, perché i temi sono comprensibili, a qualsiasi latitudine, dal momento che è l’uomo il protagonista: il soggetto e l’oggetto, la vittima e il carnefice, l’innocente e puro e il colpevole e turpe, il tiranno e il rivoluzionario. L’uomo; quello delle contraddizioni e del sacrificio estremo. L’uomo tragico greco è dotato di una coscienza morale (che lo porta a distinguere il bene dal male) e di una volontà, che conosce i suoi limiti e le potenzialità di un cuore dai sentimenti spesso smisurati. In queste caratteristiche riconosciamo l’uomo di sempre ed è il motivo per il quale la tragedia greca non tramonterà mai e avrà tanti lettori e spettatori. Se poi la rappresentazione è affidata ad attori straordinari, la scenografia è ben fatta ed originale, le coreografie armoniche e coerenti, il gusto e la “partecipazione” a ciò che si svolge sotto i nostri occhi porta a quella “empatia” che conduce alla “simpatia” e, infine, alla catarsi. Se poi senti cantare, urlare, soffrire, in greco antico, ti vengono i brividi! Questa è l’Edipo re. Ci si cala nel personaggio e si vive insieme a lui: si condivide la determinazione di Antigone, senza alcun conflitto tra dovere personale e dovere civico, tra l’amore verso “chi merita” e “chi non merita”. E tutto questo non è evangelico? Non c’è stato qualcun altro che ha dato la vita per i giusti e gli ingiusti? Si soffre, poi, con Edipo l’innocente-colpevole, il puro-impuro, il giudice-imputato, l’infelice Edipo. “Oh sciagura terribile a vedersi per gli uomini, / la più terribile tra tutte quante io / ho incontrato fin ad ora. Quale follia / o infelice ti assalì? Qual è il demone / che piombò con balzi più lunghi dei lunghissimi / sul tuo disgraziato destino?/ Ahi ahi infelice…”: questi i dolorosi versi dell’ultimo commos del coro. Cos’altro c’è da aggiungere? Tutti noi siamo fratelli di Edipo.
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