Il linguaggio poetico di Miriam Bruni è caratterizzato da una gradevolissima chiarezza da cui sgorga una sorta di luce frontale (luce e sole sono i lemmi più frequenti) che accende ogni dettaglio del paesaggio.
È, infatti, la Natura il centro della ispirazione dell'autrice, che, attraverso un processo di immersione e di fusione con essa (in un testo, a pag. 27, dice di sé: Io sono l'Aria e in quello successivo: La mia pelle è un cielo), attiva quella inclinazione alla conoscenza sensoriale-coloristico della vita.
Non a caso nel testo a pag. 33, viene evocata una magnifica definizione del poeta Salinas “Luce del tatto” per indicare le mani, che “sanno guardare dove l'occhio non vede” e descrivere il movimento dell'esistere nella scrittura poetica.
L'attenzione verso i dati esterni, che rendono così ariosa e brulicante di esseri e forme la poesia della Bruni, non significa, però, che i suoi testi siano soltanto degli affreschi aggraziati ed eleganti, ma privi di tensione e di interiorizzazione, ché, anzi, ogni cosa sembra investita da una ricerca di assolutezza.
Le cose di qui, rimandano, allora, al mistero che brucia in esse, al senso segreto della Vita e dell'esistere individuale, ad una complessità la cui unica risposta certa sembra essere la fede in quel Dio creatore instancabile, che la poeta definisce Madre (pag.32), forse per evidenziarne l'infinita tenerezza, che è uno dei sentimenti più percepibili all'interno dei versi di questa silloge.
Dentro questa luminosa cartografia del territorio della sua esperienza quotidiana, la Bruni, dunque, innesta quello della sua interiorità non meno variegata, mobile e ricca di sentimenti: dal dolore alla gioia, dalla scoratezza alla consolazione, dalla nostalgia alla volontà di affrontare il tempo a venire.
Dal piano metafisico a quello visibile, tuttavia, identico è il flusso che trascorre e lega insieme: l'Amore, sebbene l'amore terreno, nel tentativo di somigliare a quello divino, non riesca ad essere saldo e totale come il secondo, causando, a causa di questo scarto, una febbrile passione attraversata dalla sofferenza e dalla nostalgia della totalità.
La poetessa indaga anche questa volta con chiarezza il suo cuore innamorato, percorre i territori interiori della solitudine, dal dolore, sfiora talvolta l'angoscia, sebbene mai vi precipiti, ancorata com'è alla Bellezza delle cose e alla saldezza della Speranza di matrice cristiana.
Quest'ultima determina la limpidezza del linguaggio con la sua visibile verità come strumento d'empatia con il lettore, che viene chiamato a con-dividerlo, in una sorta di comunione non meno sacra di quella liturgica, se è vero che scrivere poesia è per Miriam una magia, una visione, una ricerca di fratellanza.