Pubblicato il 19/09/2008 17:18:00
Il corpo. Esiste soltanto questo in alcune vite. Ci si costruiscono racconti, dinamiche, comunità, fortune, miti. “Gabriella, garofano e cannella”. Titolo curioso, fatto del corpo della protagonista, Gabriella, dal sapore di garofano, dal colore di cannella. La scrittura magnificamente ironica di Jeorge Amado ci conduce per mano, raccontando in terza persona, la vita di questa magnifica mulatta che dal lontano e riarso nord-est brasiliano giunge, danzando con la terra che calpesta a piedi nudi, nella cittadina di Ilheus, durante gli anni ’30 dello scorso secolo. Una vita, quella di Gabriella, nuda. E’ felice perché “creatura del mondo”, piena del suo corpo. Che è meraviglioso, che canta la vita e che sa fare solo due cose: semplicemente ama, divinamente cucina. La costruzione del racconto intreccia due grandi momenti: la vita di Gabriella, il suo sentire, la sua gioia – e la scrittura ce ne fa apprezzare ogni minima piega – la storia di Ilheus che da avamposto spagnolo in una terra di inferno, diventa cittadina ricca e borghese grazie al commercio del cacao. Gabriella è bella da togliere il fiato. E’ come un fiore mai visto, che sboccia dentro la città e che, con il suo profumo, la avvolge interamente. Gabriella riesce a trovare un lavoro da cuoca per il ristorante Vesuvio dell’arabo Nacib, che si innamora perdutamente di lei. La sua fama di cuoca attraversa tutta la città. Tutti la vogliono: perché è sensuale, perché ama liberamente, perché il profumo di quello che prepara incanta. Ma solo Nacib riuscirà a sposarla, ma non a domarla. Gabriella, nella sua semplicità, sceglierà se stessa rispetto alle convenzioni di una piccola città di provincia, butterà giù dalla torre il dover essere, stretto come le scarpe che Nacib si ostinava a farle portare. Gabriella preferirà essere. A dispetto di tutto. E’ la storia di una donna vera, un esempio per tutte noi.
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