«Ciò che sostiene la vita… è una piccola
corrente elettrica di luce mantenuta dal sole»
Albert Szent-Györgyi de Nagyrápolt
Cronaca in settembre
L’alba ha sgretolato il sogno in cui ha perdonato se stesso il perdono.
Si fa sghembo, scaleno il drappo logoro dell’anima.
O forse è questo groppo malato, senso di mute guarigioni percorso dalla fede di spettri resi tali dalla fede nella realtà.
Sazietà dello zodiaco e racconto della divisione dei giorni.
Come ogni anno settembre esibisce la sua verità che è solo rivelazione della sua malattia che è anche la nostra.
Pertanto, non sappiamo che farne del racimolato sfarzo in deliquio di uno che impegna le sue povere ossa per l’abito in affitto di una festa cui non è invitato.
Allora sorvoliamo le mutilazioni di questa pace, guerra rivoltata in ipocrite rivendicazioni.
Abbandoniamo la conta e i numeri si distendano pure nella solitudine dell’indefinito.
Ora vedo un anagramma di me che attraversa nell’afa lento (di lei ebbe un tempo il talento) una piazza incandescente.
Dentro l’eterna tormenta metafisica calcinato socchiude gli occhi, si accosta a leggere musorno manifesti in decomposizione da cui sembra stranamente attratto – carcami al suo collo le tre età immolate, intenti all’ennesima inutile vaghezza di un euristico palinsesto –.
Alla fine, guardando indietro per l’ultima volta, scompare nel meconio di un bar.
All’improvviso cessa lo scirocco e le chiome meditano sul fermento delle ondulazioni.
Per farsi toccare il NULLA è diventato QUESTA E TUTTE LE ALTRE COSE, esibizionista che si
maschera per secondare la sua lussuria illeso nell’orgia di un carnevale.
Ecco, finalmente sappiamo quanto sia disdicevole offrire salamelecchi a un nobilume che vanta i titoli fraudolenti del mistero.
Allora guardiamo oltre le incottite suture e al di là di ogni ragionevole sutra.
Guardiamo all’imbarazzo dell’inizio senza tempo. – Una fiamma oscura zampillò dal fremito dell’Infinito, nel Chiuso del suo Chiuso –
Guardiamo a quello che non è il nostro tempo per poterci un giorno come giorno togliere il respiro.
Guardiamo all’aura del delirio, alla sua commossa premonizione.
Guardiamo il granello di senape, la sua elasticità banale.
Guardiamo il Bene e il Male che passeranno insieme il Natale.
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