Non so perché il corpo
- né so per quali trame-
a modo suo patisca
l'alterno avvicendarsi deisolstizi
o
gl'impercettibili approdi
alla lenta levità degli equinozi.
Scontata l'effettuale cadenza
energetica del sole e data ovvia
la fasica perturbanza della luna
non saprei se siffatto patimento
sia naturale vincolo dei vivi
o
invece un lusso aristocratico
di chi può scampare – privilegio o caso -
l'esiziale nequizia dell' umana
entropia.
Davvero penserei che proprio questa
-perché prossima – insinuandosi
per le maglie della tuta mimetica
attestante la cronica ingenuità
del nostro spleen metereopatico
-sempre e comunque – muova a corroderci
l'impeto naturale della vita.
Nonso.
Non so ma sento dentro me levarsi
da un fondo incolore insospettato
- e per così dire assente – fumi
- tra carne e ossa – di dolenzia vaganti.
Un'astenia sottile m' induce
a contemplare nel mio didentro
il laborioso trapasso dell'estate
come un fuori che morde – tra spaventi
spasimi e incipienza di brividi -
ogni tenacia
esposta a un vano transitar di nubi
dirette verso lontani appuntamenti.
Una promessa di pioggia fonderà
in lavacro benefico di pianto?
Intanto
ho chiuso le tende sulle imposte.
Io posso.
- Lo posso senza limiti d'orario -
- per sociale conquista immeritata -
- per privati meriti acquisiti -
Bene.
Ho accostato – insisto – le tende
per risparmiare agli occhi il tedio
di nudità ignobili e scomposte.
Avrei scelto – potendo- la grazia
d'un giardino...
Teli sui vetri – invece. Di tela.
Questo posso.
Per scansare l'uggia d' incolte plaghe
tessute di vecchie malerbe riarse
tra riarsi blocchi di turpe cemento
-monumenti di civile orrore -
Offeso.
S'è ritirato offeso il neonato
mio desiderio d'un mondo che non c'è.
Evita per medicina la luce
già torbida di cinerigni vapori
e sogna segni d'indulgenti ombre.
Mah!
Ma s'imbatte in un dentro cavernoso
dove si levano umide – a frotte -
- come infastiditi chirotteri
in volo irritante e cieco - mestizie
sacrificate sull'ara del feticcio
di presunti svaghi preannunciati
in cornucopia da certa mediatica
malizia.
Come denuda e agghinda costei
- per vetrine – la fulgida innocenza
dell'estate e la stringe a concubina
d'un mare domestico e truccato!
Mare.
Neppure la sua accertata azzurrità
- dispersa nella babele dei capanni
chiassosi come prostitute in posta
alle curve della nuova litoranea -
suscita moti di grata tenerezza.
Lo vivo con i sensi del ricordo:
salso turbato gonfio e minaccioso
mentre al ritmo crescente di scirocco
affatica vasti banchi d' alghe more
per sbatterle – in bulichii di schiume
di bugiarda bianchezza -a disfarsi
sul sabbioso disincanto della riva
ancora segnata da relitti e sfregi
quali memento
d'altre e più rovinose deiezioni.
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