RECIPROCAMENTE, LA POESIA HA BISOGNO DELL’UOMO E L’UOMO DEL SUO SUPPORTO ESTETICO CHE LO QUALIFICHI
di Ninnj Di Stefano Busà
Ebbene, ammettiamolo, la poesia non è per tutti, ma solo per coloro che la amano, è un agglomerato di cellule mnemoniche, orchestrate come da struttura sinaptica, passano direttamente dal cervello alla pagina bianca, dopo aver congiunto e collegato le cellule deputate all’attività di coordinamento.
Si tratta di un’attività pseudocerebrale e linguistica che assolve questo compito, al quale si possono aggiungere: la predisposizione, il sincretismo della parola, l’attenzione per l’arte del linguaggio, la fantasia, l’estro.
In poesia, <la parola> attende la nuova ipotesi disvelativa della sua elaborazione, che le deriva dall’essere trascritta e trasmessa: l’imput le giunge dal subconscio, l’appello alla chiamata, preposta a formularla, origina dall’intelligenza del cuore, che le permette di collocarsi in una sua particolarissima fisiognomica visione particolarmente gradita al poeta. L’inettitudine umana la colloca ai margini o la respinge, altre volte la rinnega, la contrasta, la svilisce, quanti atti d’ingratitudine si compiono a suo danno! Quanta intolleranza, quanto lesionismo e ignoranza è costretta a subire la poesia!
Mi fa rabbia vederla trattare con quel fare compassionevole e umiliante, che recita: a che serve?
Lo dichiarò Montale a chiare lettere, ma mi permetto di dissentire: la poesia è una delle innumerevoli doti umane che non dà fastidio, non scomoda nessuno, non s’impone a viva forza, non pretende nulla, non esige alcunché, si rifiuta di giungere a chi proprio la ignora, non la capisce, non la ama: se ne sta lì, quieta e silenziosa senza scomodare alcuno. Se c’è, si fa sentire, se è amata, riama con la stessa intensità, con grato e sincero altruismo.
Spesso ripaga proiettando il poeta in una territorio sconosciuto che è l’iperuranio della sua ricerca.
Ripaga l’uomo confortandolo delle tristi vicissitudini in cui tutti si è costretti a vivere, sa donare con gioia quella pagina di armonie o di equivalenze che originano direttamente dal cuore o dall’intelletto, per riequilibrare contrarietà, sofferenze, dolori, solitudini.
Se la chiami ti risponde, come una compagna fedele e devota, viceversa se ne sta latente, in un silenzio quasi assoluto.
La poesia non ha accesso all’utile, non ha predisposizione al vantaggio materiale, non s’intromette nell’economia, né si propone alle moltiplicazioni avariate e contraddittorie di un mondo finanziario losco e invasivo, che guarda alla materialità con avida bramosia, con provocante desiderio.
La materia lirica non è viziata mai da diniego alla morale, neppure al più sottile e sofisticato meccanismo di risorse che concorrono alle vita greve dell’individuo.
È solo una forza legittima che vuole venir fuori a sedare gli animi, a placare il loro bisogno spirituale, intellettuale, un richiamo all’autenticità metafisica del singolo uomo, mira all’armonia, alla completezza, all’idealità del mondo, perché esso ha bisogno di capire, di sincronizzarsi col suo essere, con la sua entità interiore.
Ma proprio perché non ha nulla da spartire con l’interesse spicciolo, come si può facilmente supporre, (gli fa d’intralcio); è malvista in questo nostro momento storico così repellente, asfittico, sclerotico, fatto di un solo “imput”creativo: la necessità di accumulare ricchezza...niente di più naturale che la vanagloria in un mondo così - (s)poetizzato – così avido, lontano dall’interesse creativo e lirico.
Ma se ci soffermiamo qualche minuto a riflettere, come si può ben vedere, la poesia non ha mai fatto del male a nessuno, siamo noi che l’abbiamo esauturata, esclusa, posta ai margini, perché priva di quella forza brutale, meschina, invasiva, deputata al benessere materiale: l’uomo di oggi propone se stesso, è ammalato di protagonismo che gli può dare solo la raggiunta ricchezza, il potere, la gloria. La poesia non dà nulla di tutto ciò, nessuna delle tre ipotesi è raggiungibile con la poesia, perché essa è l’emanazione della nostra spiritualità, dell’ingegno; la particolarità unica ed esclusiva, generosa e mite della natura umana la richiede, per riformularsi a livello di superiorità e distinzione dal genere animale.
Nel coacevo esponenziale della menzogna, dell’ipocrisia, della contraddizione, essa assolve il compito di regolatrice ed esploratrice della psiche umana che ha necessità di formulare il suo bene, la sua condizione di ricognitrice, di viaggiatrice in un mondo disorientato e reso succube dal male, la poesia manifesta il suo vigore, rivela il pensiero di esistere al di là del mondo materico e viziato, estrinseca l’implicito significato del pensiero “pensante”, la passione, l’atto espressivo del sentimento, che eloquentemente vuole mostrarsi all’insignificante, lo richiede con impeto e, talvolta vi riesce, di saper dire l’inesprimile
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