Pubblicato il 15/04/2014 20:41:01
La scrittura di Toni Negri: mi riferisco a questo Spinoza e noi (Udine, Mimesis 2010, tr. dal francese di Vittorio Morfino). Intanto è singolare l'introduzione, dove l'A. esordisce in prima persona («Scrissi quel libro in carcere») fornendo il senso della sua esperienza diretta e poi verso la fine va decisamente parlando di sé in terza, come in una sorta di spersonalizzazione e teorizzazione estrema o sdoppiamento autocritico («Infatti, Negri e i suoi amici dovranno almeno concedere che», «Non è questa (di Negri) una teologia politica vera e propria?»), al punto che, a un certo momento, non riuscivo a raccapezzarmi e mi sono chiesto di chi fosse l’introduzione: ma di nessun altro, non c’è dubbio, se non di Negri! Nei capitoli che avanzano con rigorosa scienza, dove l’argomentazione è serratissima, all’improvviso si trova la reiterazione dei tre punti di sospensione à la Céline: da una parte a riprodurre una mimesi del parlato ex tempore o occasioni colte a braccio sine scripto, appunti o spunti improvvisi e dall’altra vi sono ipotesi o proposte teoriche estemporanee al modo del Collège de France («... la schizofrenia, l’emergere e/o il superamento del limite... un orizzonte qualche volta quasi naturalista... Deleuze-Guattari alla ricerca dell’utopia del 'valore d'uso'?...»), per tornare in seguito alla sistematicità del discorso. Questo metodo ricco di suggestioni significative, non scevre da ambivalenze concettuali e provocazioni per il lettore, trovo abbia del fascino. In definitiva Toni Negri propone di iscrivere Heidegger, contrapponendogli Spinoza, nel pensiero reazionario, anzi di denunciare tout court quel pensiero come reazionario «non solo perché esso è probabilmente legato alle vicende del movimento nazista e fascista» (op. cit., p. 55) ma anche perché quella concezione dell’essere «pone il destino come affogamento dell’essere – è un serpente nero. Heidegger ci strozza» (ibidem). Fino a che punto è accettabile questa proposta? (19 dicembre 2013)
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