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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Estasi.com

Poesia e Prosa

Nicola Licciardello
Mimesis Editore

Recensione di Franca Alaimo
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Pubblicato il 13/01/2017 12:00:00



Prima di entrare nel merito di questo straordinario libro iniziatico di Nicola Licciardello, desidero premettere che forse non sono la persona più adatta a presentarlo. Io sono una donna occidentale che non riesce a rimuovere le radici più profonde di questa civiltà, nonostante i miei personali terremoti e ribellioni e l’attrazione profonda verso l’India e la sua civiltà. E’ vero che ho studiato per qualche tempo Sanscrito, ho letto la traduzione del Bhagavagīta e tanti scrittori iniziatici, sono stata in India un mese intero e, quando sono tornata, sapevo di essere stata rigenerata e trasformata da questo viaggio e non in modo temporaneo. Però, per quanto mi riguarda, mi ritengo una donna e scrittrice occidentale votata, un po’ come tutti gli abitanti del Continente europeo, ma ancora di più in quanto siciliana, alla drammaticità, al fato, alla fascinazione dolorosa del transeunte, sebbene vorrei, al contrario, tenere sempre viva in me la luce pura della Gioia che talvolta danza dentro di me e con me e che considero la vera essenza della Vita.

Nicola Licciardello, viaggiando, leggendo e operando in modo metodico e non superficiale ed approssimativo come il mio, ha saputo raggiungere e conquistare il segreto della Gioia per donarlo successivamente agli altri, scegliendo di diventare a sua volta maestro di yoga, dopo la frequentazione di scuole e maestri originali, perché come lui stesso dichiara (pag. 108), ha sempre avuto “la fissazione di ricevere gli insegnamenti dai Maestri originali”. Anche la scrittura e la pubblicazione di questo libro vanno considerate dei doni attivi in quanto finalizzati a produrre stati d’animo positivi e riflessioni utili alla crescita interiore del proprio sé.

Il fatto che Licciardello abbia speso gran parte del suo tempo a viaggiare in ogni parte del mondo, anche se in questo libro si concentra maggiormente sull’unico viaggio a Tahiti (1995) e su quelli in India, non significa, comunque, che egli abbia perduto le sue radici occidentali: ce lo confermano non solo l’avere fissato una sua dimora in territorio toscano, ma anche l’ampia conoscenza dell’arte italiana ed europea, della sua storia, la lettura così acuta dello sviluppo tecnologico dell’Occidente (ormai dilagante anche in Oriente se pure secondo una combinazione del tutto originale con gli archetipi di quelle civiltà). E ce lo conferma la nostalgia di casa che ogni tanto lo prende a Tahiti, e una confessione all’inizio del soggiorno in Australia (dove la nascita del figlio corona il sogno d’amore descritto in un primo diario indiano): “Certo, nonostante tutte le iniziazioni, ero rimasto un eurocentrico catapultato nella New Age già fatta-data con il fruscio maestoso dell’eucaliptus, il silenzioso apparire dei canguri, il degli australiani, nel loro ritmo soffice, ironico-fatale, lunare” (pag. 118).

Entrando nel merito del libro e della sua struttura, non meraviglia che lo stesso autore abbia sentito la necessità di dedicarlo anche ai genitori “per le radici forti e il sostegno che mi hanno dato” e di concentrare nel primo capitolo (intitolato, appunto, Radici) la storia della sua infanzia e giovinezza e la formazione culturale, cattolica per spirito e valori, ma casualmente (o fatalmente) aperta alla fascinazione del messaggio di Yogananda, invitato addirittura a casa da due inquiline del piano di sopra, l’incontro con il quale rimase sempre avvolto da una serie di resoconti evasivi; la presenza in famiglia del nonno Nicolò, filosofo panpsichista, e l’incanto musicale e mitologico dell’ambiente naturale del territorio catanese, segnato dalla presenza del mare, emblema dell’infinito movimento del divenire e della danza della Natura – con l’Etna, emblema del sacro e del tremendo mitologico. E poi il ’68, gli incontri, le conversazioni, le letture e la frequentazione di ambienti intellettuali a Venezia, Padova, Roma fino alla decisione di partire e incontrare l’India.

Questo primo capitolo, inoltre, fornisce al lettore le due chiavi d’interpretazione dell’intero libro. La prima è la volontà di liberarsi, intanto in prima persona, e successivamente di aiutare gli altri a farlo, dal mito del dolore sacralizzato, che sta al centro del sistema del Cattolicesimo a causa di una distorta interpretazione del messaggio cristico, finendo con l’essere uno strumento di castrazione del proprio io più profondo e determinando le tristi derive mentali della misoginia, della sessuofobia e dei sensi di colpa. La seconda è l’influsso che sulla formazione interiore-intellettuale di ogni creatura umana determina l’ambiente esterno, un insieme di paesaggio e credenze religiose misteriosamente e fatalmente intrecciati.

Dai suoi cenni di comparazione fra le religioni, leggiamo: “Nella cristianità il paradiso in terra è proibito. In questo mondo non vi è un sorriso possibile, dal momento che la , tradita, ci ha abbandonati, lasciandoci la Verginità della Madonna imprendibile” (pag. 217). E a proposito del Cristo: “La tristezza del Salvatore ha inquinato la terra, l’angoscia per come ‘finisce’: inchiodato in croce, modello da duemila anni per la solitudine individualista dell’Occidente” (pag. 285).

Non è, come si potrebbe pensare, un attacco sferrato alla predicazione di Cristo, quanto alla lettura che dei suoi insegnamenti ha fatto la Chiesa Cattolica, e questo mi ricorda un altro grande studioso di religioni, amico e guida spirituale per tanti anni: Silvano Panunzio, il quale, pur procedendo in senso inverso rispetto a Nicola Licciardello (che sostiene come l’esclusività dell’Occidente sia destinata a venire assorbita nell’inclusività dell’Oriente), fa convergere tutte le tradizioni religiose nel Cristianesimo, e lamenta come si trascuri da sempre il messaggio iniziatico di Cristo, la sua gioiosa luminosità più profonda, la pratica della contemplazione a favore della meccanicità dei riti. Una volta che gli confidai quanto mi annoiasse partecipare alla Messa, mi disse di non andare e di continuare ad amare Dio, come facevo, attraverso la contemplazione della bellezza del Creato e la benedizione di ogni creatura vivente.

Un incontro della sapienza orientale tantrica con quella occidentale sembra, tuttavia, avverarsi per Licciardello nella Vita Nova e nel Paradiso dantesco (pag. 316-320): in quest’ultimo “Il suo linguaggio amoroso è quasi sovrapponibile a quello tantrico: la verginità di Matelda (riso e dolce gioco) è gravida della suprema, celeste (Bodhicitta) del (sukhàvati). Nel Letè la (ancora senza nome) letteralmente sommerge ed abbraccia Dante – proprio come un’Avalokitésvara della compassione abbraccia il discepolo nel buddhismo tantrico”. Ho riportato solo un piccolo stralcio di questa mirabile lettura (trenta pagine nella sua originaria versione-saggio) dell’opera dantesca alla luce della sapienza orientale, che però non è nuova nell’ambito della critica letteraria; tanto che mi ricordo di avere letto un saggio bellissimo di un altro illustre amico, il poeta Peter Russell, che interpretava La Vita Nova alla luce della spiritualità dei Sufi.

Ai riti cattolici Licciardello contrappone quelli dell’india per la loro “innocenza infantile”, così come “i pellegrinaggi senza dolore”, la devozione “senza fanatismo”, la “gentilezza e gioco della festa senza tragedia, puro omaggio”, la preghiera “che si fa col corpo intero, una funzione biologica. Non un sacrificio cruento.” (pag.269). Poco prima, l’affermazione densissima di conseguenze etico-estetiche sul “paradosso della trascendenza affidata all’arte, la religione come arte. E l’arte come prosecuzione del gioco della natura”. In effetti, tutto il suo libro Estasi.com trasuda d’amore per l’Arte, e (a parte l’Introduzione) la prima volta che la parola “estasi” viene scritta è a pagina 151, quando l’autore parla della pittura di Gauguin.

Il fatto è che più di un semplice diario, questo libro è un romanzo di trasformazione della coscienza, un’interpretazione di luoghi ed esperienze, una lettura di molti capolavori dell’arte mondiale, una piccola antologia poetica, visto che vi sono inseriti numerosi testi poetici composti dall’autore, ma ci sono anche dei passi descrittivi squisitamente lirici. Infine è anche un saggio politico-economico-filosofico sulle condizioni attuali del mondo e sul suo futuro.

Non susciti meraviglia che io affermi di non avere mai letto un’interpretazione dell’arte di Gauguin tanto acuta come quella avanzata da Licciardello. Il capitolo a lui dedicato è denso d’informazioni, sfolgorante e folgorante. Mi piace riportare questo giudizio: “Le sue opere non sono un mero capitolo di storia dell’arte occidentale, ma anche dell’etnologia, dell’antropologia, della filosofia, dell’esoterismo (…), sono già un’arte planetaria”. “Per un attimo, il paradiso in terra appare, come inabitabile profumo, come semplice aria, verginità prima e dopo l’uomo: campi di colori-forme che diventano visioni di luce interiore (pag.202)”.

Tornando ad uno dei temi-chiave di questo libro, cioè la volontà di liberarsi dal dolore, va premesso che la ricerca alternativa della gioia è un viaggio soprattutto interiore, poiché essa è l’essenza del nostro io profondo; e tuttavia la civiltà sembra averla esiliata in un recinto di falsi e sciocchi limiti che le impediscono di sgorgare con spontaneità e libertà, come invece accade in civiltà come quella tahitiana, balinese e indiana.

Si tratta, dunque, di liberare la gioia attraverso una serie di strumenti: la contemplazione, la necessaria alternanza fra meditazione solitaria e partecipazione alla collettività, quindi fra silenzio e parola, con l’arte e la capacità di abitare il ritmo dell’Essere in quanto forma, numero, suono, profumo, pulsazione dell’eros. “Al di là del tempo musicale, negli organismi viventi e negli atomi, nell’arte e nelle galassie il ritmo è onnipresente, primum assoluto, ‘padre’ di ogni forma” e anche “Il nostro organismo è una sinfonia sempre in esecuzione (pag.235)”.

Ecco perché la danza – gli dei indiani danzano, il sé è un danzatore – vederla, eseguirla, descriverla, fotografarla, diventano una delle magnifiche ossessioni di Licciardello. A nessuna arte egli dedica più spazio nel suo diario, raggiungendo in certe descrizioni un parossistico, ipnotico acme lirico-erotico assolutamente liberatorio, purificatorio, la prossimità alla gioia nel desiderio di Dio, una sorta di “febbrile corsa verso la Meta, il Viaggio come meta, prolungando il piacere all’infinito” – come si legge sulla quarta di copertina. Il capitolo VI “Ritmo e Danza” si apre con un bellissimo testo poetico di Licciardello che comincia così: “Seppi tutta la libertà quando cominciai a danzare/ Seppi il Divenire dell’Essere, l’Essere del Divenire”.

Concludo riportando una considerazione molto interessante sull’attuale destino dell’Europa: “Quanto all’Europa, ferita nella Liberté di bestemmiare le religioni altrui, tutti convengono che dall’Illuminismo non si torna indietro – infatti è la religione inconsapevole europea, l’ipocrita laicità dei Massoni (non erano laici ma cristiani imprenditori) – mentre in Grecia trionfa la democrazia di Tsipras. Ma quanto più l’Europa si arrocca nella sua esclusiva Liberté ideologica (lasciando egalité e fraternité all’etica cristiana), tanto più è destinata a soffrire i contro-fondamentalismi – sionisti, islamisti, razzisti, localisti, terroristi. Solo discutendo alla pari con altre culture, altre energie, altri modelli, potrebbero sciogliersi le corazze identitarie – che non esistevano per i grandi romantici tedeschi e fino a von Humboldt: le lingue che parliamo sono “indoeuropee”, veramente noi non siamo illuministi, siamo indoeuropei. E infine siamo, dovremo essere un’interdipendenza globale, un’umanità post-europea, policentrica.” (gennaio 2015, pag. 360).

Credo che proprio a questa meta stiamo avviandoci: il quando, però, verrà raggiunta dipenderà da troppe cose. In ogni caso è quello a cui l’umanità sembra destinata.

 


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