Pubblicato il 12/10/2024 08:45:35
Guglielmo Aprile … o l’immaginifico astrale del verso poetico. “Tutto l’oro del mondo” – una silloge edita da Carabba Edit. Nella collana Diramazioni - 2024 L’immanifesto mitico alla base del rituale poetico che si celebra in questa raccolta di Guglielmo Aprile s’avvale di riferimenti magici e richiami ancestrali di un mondo che appare in sé compiuto, come a riconoscerne l’espressività filologico-celebrativa propria della lirica ‘aedica’, con la sottesa disponibilità a concernere l’arbitrato filosofico-elettivo che l’avvolge: “un’immensità che tutto travolge e ovunque è avvertibile” (Calasso) ...
“…è dell’oro che ho sete, l’oro occulto che della scorza di ogni parvenza come del cuore dell’uomo è il gheriglio”.
“…Il cielo è un altare che brucia e gli occhi i suoi iniziati, l’alba adempie a un rituale, crudele e fastoso: convoca i suoi ierofanti, le nuvole, e ad oriente le raduna”. “…a breve, il mondo riemergerà dal sonno, come fece dalle acque scure che lo ricoprivano alle origini, appena fu creato”.
Il richiamo alchemico, sempre così affascinante nell’autore, è presente quale effetto dell’immaginifico astrale che si vuole qui rappresentare, intrinseco del coglierne i molti aspetti, se non tutti, che elevano l’animo all’ardore, quell’impeto proprio del desiderio struggente e implacabile che spinge il lettore a discoprire l’ “oltre” quale verità afferente, appunto l’assoluto immanifesto ...
“…Il passero, araldo dell’alba – sembra che esulti, in preda a un’euforia per noi inspiegabile, e folle di giubilo acclama il corteo che da oriente avanza con in testa gonfaloni di porpora e corallo: è impaziente che sia giorno al più presto, proprio ora gli è giunta tutta la notte attesa la notizia che il sole … (nascosto si leva) ne scorge dai merli di un arboreo mirador le orme di fuoco più prossime”.
È nella vampa dorata del levarsi del sole che il richiamo immutabile del divino risuona nell’aere come per un ritorno alle origini del creato ... È “…(n)ella parola che le vie accarezza ancora vuote, come a benedirle (forse un peana, una supplica al sole perché torni, o una laude ad omaggiare un’amante che in ogni fiore attende che il suo bacio canoro la risvegli): quel sospiro flautato che riecheggia la voce, imperativa e a un tempo tenera, che ai monti diede ordine di sorgere dalle acque, alle galassie di prendersi per mano e di intrecciare danze per l’oscurità divampante delle loro livree di gemme e fiamme, negli spazi cosparsi delle schegge di un gigantesco diamante in frantumi, nei cieli che brulicano di gemme, disseminati delle innumerevoli faville di un incendio che riflette in ognuna delle sue lingue il palpito delle nostre domande, in ogni lampo scoccato dai capelli incandescenti di ogni cometa di passaggio il brivido delle nostre pupille, in ogni incrocio di orbite zodiacali e in ogni giro delle sfere sonnambule che vorticano in estatica corsa, il sordo battito del nostro sangue”.
Dacché l’edenico sentore di una natura che s’imprime nell’iride dell’umano davanti a una successione di quadri ‘impressionisti’ esposti in una galleria d’arte ricreata ad hoc: (vedi lo ‘stagno delle ninfee’ di Monet e/o le stupende vedute di Pissarro, solo per citarne alcuni), che l’ardore si svela, nel riecheggio festante del verso delle faunistiche creature che l’abitano, qui splendidamente accolti nel “…dondolante scrigno di tutte le melodie sussurrate dalle labbra del cielo e della terra, conchiglia astrale, culla di ogni inizio”.
È nella tavolozza dei colori, nelle ricreate ‘illuminazioni’ delle stagioni, nella lucentezza dei minerali che affiorano dalla terra, nei tesori sommersi delle profondità marine che la gioia d’essere e d’esserci lascia discoprire “Tutto l’oro del mondo”. E sono cristalli di vetro, stalattiti di ghiaccio taglienti che si susseguono nei nostri sguardi stupefatti, impressionati, sbalorditi, rincorrendosi e stringendosi d’appresso ...
“…Sembra intagliato il mondo alle prime ore nello smeraldo, come se il suo volto brillasse sotto le acque trasparenti di un lago calmo, i campi e le colline così nitidi appaiono, lavati nella fiamma di un’aria di cristallo, e di un verde si ammantano, dai toni così squillanti, dalle iridescenze così pure, da crederlo il colore che risvegliata dal tocco di Dio bagnava la terra tutta alle origini di una rugiada astrale, appena uscita dalle fucine della creazione”.
Un labirinto talvolta oscuro come del resto il ‘mito’ impone, in cui l’autore cerca d’intrappolare l’affascinato lettore e costringerlo a perdersi nei rimandi di un passato fin troppo presente, a quella realtà quasi sconcertante che è il nostro “surrealismo” quotidiano ...
Da: “Il fuoco che è in tutte le cose”. “…Fu dalle nozze tra la roccia e il fulmine che scaturì la prole numerosa dei fiumi e dei vulcani, che diede inizio alla sua corsa il sole, che fu fondata l’ampia discendenza dei boschi millenari, e che gli uomini presero coscienza di quanto vasto fosse il loro cuore, e di essere mortali. … Cadde il chicco di grandine – e toccando l’erba, la fecondò: si fece seme di tutte le albe e dell’unica fiamma che palpita nel grembo dorato della spiga, in ogni nembo che stia per partorire il temporale, che il proprio raggio spande dal diamante di Antares, che riverbera nelle mie domande”.
È allora che, catturati dall’enfasi scrittoria dell’autore (che non ha bisogno di presentazione), entriamo nella fiction letteraria facendoci dono di quella “meraviglia” che è il suo linguaggio: ora opaco di gemma ruvida (naturale); ed ora di fine diamante cristallino in cui si riflettono immagini di luoghi sconosciuti (o forse mai esistiti), pur sempre attraversati dalle venature idilliache di vetro soffiato (alchemico e misterioso), espresse con la consueta eleganza verbale ...
“…L’alba si sta levando dentro me, la fiamma che dal mio occhio si effonde rischiara il mondo e gli ridà colori, l’acqua del sole mi colma la gola; e sento che il mio petto si dilata e che anche i cieli al suo ritmo respirano, e sento che anche onde e nuvole scorrono a tempo con il mio polso che batte; non più distinti ma una cosa sola io e la scena che ha per sipario i sensi, come i due azzurri paralleli uniti dall’orizzonte in una stessa riga”.
Una scioltezza di linguaggio dove perdersi, infine, nei meandri di quella realtà ‘immaginifica’ che fa di questa raccolta poetica, traslitterata ai lettori che noi siamo in quel “l’altrove”, o forse “l’altrui” che abbiamo obliterato, e che come ‘altra cosa’ si avvicina alla realtà che viviamo ...
Da “C’è in ogni conchiglia un tesoro” “…Dalle tue labbra socchiuse, una nota sommessa, soffocata dal frastuono della risacca, simile ad un’arpa dimenticata, che nel buio stilla soavi accordi, al tocco di una mano che la accarezza: voce che risuona immutata da quando la prima alba sorse sulla distesa informe e vuota delle acque enormi, e da oscure distanze giunge fino al mio orecchio; e in essa sento l’eco lunga del mare, sento il battito di un cuore gigantesco, affievolito eppure ben distinto, che all’unisono palpita con il mio, con il respiro dei venti, con le sistole e diastole delle maree, con l’onda che dilata il proprio petto e dopo lo contrae con il ciclo dei fiori e delle piogge, con l’ampio movimento circolare di Orione e Cassiopea, delle comete pellegrine sulle carovaniere dei quadranti celesti – contrabbandano forse, lungo i confini dell’eclittica, perle estratte di frodo dai fondali siderali, o scintille della fiamma che innesca la combustione dei soli e che insemina il grembo dei pianeti”.
Da “Il più semplice sasso”. “…Il mare dai suoi penetrali gronda d’ambre e topazi, e nel suo grembo un tempio sepolto e frantumato custodisce, ori dispersi di un naufragio giacciono sotto la sua pelle sottile e mobile, il velo trasparente fa distinguere ben visibili tutti quanti i ciottoli: azzurre dracme in uso presso i popoli di Orione per le loro compravendite, liquido arcobaleno proiettato dal prisma dei fondali, sparsi resti di un mosaico che decorò una reggia; me ne rigiro tra le dita uno tra tantissimi, simile ad ogni altro e insieme da tutti gli altri distinto, dalla superficie perfettamente levigata e dai bordi arrotondati dal lungo lavorio delle correnti: e mi sembra di stare accarezzando qualcosa che fu vivo o che lo è ancora, un esemplare della prima razza che abitò queste rive, sulla terra splendida di rugiada, appena nata; in quel suo corpo minuto e tenace si è fatta pietra la voce del tempo, e nel lampo che brilla sul suo dorso sopravvive traccia di avvenimenti dimenticati da milioni di anni”.
Da “In un letto nel bosco (Alla finestra, di primo mattino)”. “…Compongono un’orchestra, che improvvisa il suo concerto a salutare l’alba; non ne intendiamo la lingua, ma sembra che nel coro che intonano si compia una catarsi: ogni cosa si immerge in quelle acque di suoni e vi monda il proprio sangue da un inganno antico come il tempo, e di nuovo pura torna, il mattino l’archetipo rinnova del primo giorno che fu sulla terra – il merlo, ascolta, è un giullare bambino e sfoggia il suo repertorio di scherzi, il colombo selvatico dà sfogo nel corno cupo ai suoi ombrosi umori, dedica una serenata la tortora al compagno, che ancora non rientra al loro nido, tra i rami xilofoni di cristallo, arpe che la cincia pizzica, corde di liuti, di violini i pini per i passeri, nacchere che vibrano nel fogliame, Penelopi nascoste tessono tele canore nel folto; e queste strade ancora silenziose alle prime ore, per un incantesimo diventano uno scrigno ma di gemme musicali. E vorrei al mio risveglio scoprirmi steso in un letto nel bosco, uccelli, avvolto dalle vostre voci, da quelle note in cui effonde il mondo il suo segreto tenero e profondo”.
Quand’ecco nascosto tra le righe si rivela il volto gioviale dell’autore che, al pare di un cosmonauta, osserva estasiato la terra avvolta dalle stelle. Se, come scrive Teilhard de Chardin: “Solo il fantastico ha qualche possibilità di essere reale”, allora l’immaginario mondo riordinato per noi da Guglielmo Aprile, è l’unico dei mondi possibili, quel non-luogo estremo in cui ritrovare l’intonsa bellezza del creato che tanto lo sguardo ha rapito ...
“…Esiste un dio di ogni risveglio, … (sì) che il mondo riapre gli occhi ed anche oggi l’oscurità le sue maree ritira – e i fantasmi di strade alberi e uomini riassumono colore e volto e carne”.
Nota: (*) Tutti i virgolettati "" sono di Guglielmo Aprile.
L’autore. Guglielmo Aprile è nato a Napoli nel 1978. Attualmente vive ad Ischia, dove si è trasferito per lavoro. È stato autore di alcune raccolte di poesia, tra le quali “Il dio che vaga col vento” (Puntoacapo Editrice, 2008), “Nessun mattino sarà mai l’ultimo” (Zone, 2008), “L’assedio di Famagosta” (Lietocolle, 2015); “Il talento dell’equilibrista” (Ladolfi, 2018); “Il giardiniere cieco” (Transeuropa, 2019); “Falò di carnevale” (Fara, opera I classificata al concorso Narrapoetando 2021); “Il sentiero del polline” (Kanaga, opera I classificata al premio “Arcore” 2021); “Thanatophobia” (Progetto Cultura, opera I classificata al premio “Mangiaparole” 2021); per la saggistica, ha collaborato con alcune riviste con studi su D’Annunzio, Luzi, Boccaccio e Marino, oltre che sulla poesia del Novecento.
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